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La trama (con parole mie): Romeo e Juliette sono due giovani aspiranti attori che si conoscono ad una festa. Tra loro, a partire dai nomi "da destino tragico", nasce da subito un legame che si concretizza in una storia d'amore e nella nascita del piccolo Adam.I genitori della ragazza aiutano la coppia ad acquistare un appartamento, e tutto pare risolversi nel migliore e più normale dei modi, con la costruzione progressiva di una famiglia: ma il piccolo presenta numerosi problemi e pare non avere una crescita normale, tanto da allarmare i due giovani alle prese con episodi sempre più allarmanti. Purtroppo, al bambino viene riscontrato un tumore al cervello molto raro ed aggressivo: Romeo e Juliette dovranno farsi forza l'un l'altra ed iniziare la battaglia per riuscire a sopportare il dolore di un evento di questo tipo e rimanere saldi accanto al figlio, qualunque cosa accada.
Fin dall'apertura di questo saloon cinematografico, il momento delle bottigliate è sempre stato uno dei miei preferiti: prendere un film colpevole di aver tradito le mie aspettative della vigilia e bastonarlo selvaggiamente in modo da sottolineare il disappunto da "cult mancato" riesce a soddisfarmi quasi a livello fisico, neanche stessi scazzottando felice il mio bravo sacco da boxe.A volte, però, può capitare che anche bottigliare questo o quel titolo possa dispiacere, principalmente perchè le idee, i temi ed il modo di proporli risultano coinvolgenti ed interessanti, seppur viziati da un'inconcludenza di fondo: così è per La guerra è dichiarata, film della regista ed attrice Valerie Donzelli che tanto bene ha fatto parlare di se nelle ultime settimane, dentro e fuori dalla blogosfera.Cosa ha funzionato, dunque, e cosa al contrario ha stuzzicato le corde più violente della mia parte critica?
Sicuramente occorre riconoscere, tra le note positive, all'autrice una delicatezza di fondo che testimonia la lezione appresa da mostri sacri come Truffaut - la storia d'amore che sboccia tra Romeo e Juliette pare uscita da Jules e Jim - ed una partecipazione assoluta sia dietro che di fronte alla macchina da presa, un realismo quasi dardenniano ed un tocco decisamente più soave tipico del Cinema transalpino, in grado di rendere la pellicola molto più fruibile di quanto non possa apparire sulla carta, considerato il tema trattato.
Ma nonostante la buona volontà ed alcune soluzioni azzeccate, l'autrice viene progressivamente risucchiata dalla voglia di stupire ed apparire già pronta per i palcoscenici radical chic e festivalieri più importanti, rischiando in più di un'occasione lo scatenarsi della rabbia del sottoscritto: dalla greve colonna sonora - che appesantisce inutilmente il film anche nei momenti in cui è chiaro che l'intento della Donzelli è quello, al contrario, di alleggerirlo - all'inutile ricorso alla voce narrante off - nello specifico, in grado di rovinare una delle sequenze migliori della pellicola, il montaggio parallelo tra gli allenamenti di corsa e le visite al piccolo Adam in ospedale della coppia corredando le immagini con l'inutile spiegazione della metafora legata alla fatica e alla resistenza dei giovani genitori al cospetto della malattia del bambino come se il pubblico fosse stato vittima di una lobotomia di massa -, passando attraverso alcune scene da pulsazioni incontrollabili della vena alla tempia come il momento della scoperta del tumore del bambino ed il conseguente viaggio di ritorno a Parigi da Marsiglia o la festa in cui si passa dal "bacio libero" in pieno stile finto alternativo anni settanta alla canzoncina chitarra e voce da "noi che siamo tanto fighi perchè siamo alternativi e Carla Bruni è venuta a trovarci a casa" con tanto di pianto liberatorio - o ricattatorio? - finale.
E a proposito di finali, con la conclusione la Donzelli incappa nello scivolone forse più evidente del suo lavoro: che le cose possano essere andate bene si intuisce fin dall'apertura, quando assistiamo ad un controllo di Adam già in età scolare, ma tutti i tentativi della regista di confrontarsi con un tema scomodo come la malattia in uno stile sotto le righe ma sicuramente associabile a quello mostrato da 50/50 attraverso intuizioni al limite della genialità - il bambino che, durante il consulto con il medico che lo operò, seduto tra i genitori che hanno lottato per lui e con lui a costo di sacrificare tutto quello che avevano o credevano di avere, chiede ripetutamente alla madre se può giocare con il Nintendo DS - vengono inesorabilmente sbriciolati dal ralenti che contraddistingue tutta l'ultima sequenza, che pare la versione autoriale e snob della zuccherosità di alcune immagini di pellicole mainstream dalla lacrima indotta come War Horse.
In questo senso, piuttosto che recitare la parte degli spocchiosi e dei superiori rispetto alle proposte di grana grossa da invasione di centinaia di sale, avrebbe più senso riconoscere anche i limiti del Cinema d'essai, specialmente quando cela dietro un buon montaggio o la ricerca di un'estetica più "alta" le stesse, popolari emozioni - con cadute di stile annesse - dei fenomeni di massa.
MrFord
"Oggi dentro me vedo un cielo che illumina a festa
e poi mi sento che son leggero da perdere la testa
se passi di qua alzerai sabbia rabbia e chissà
dimmi non ti va di spostare i confini più in là
perché in me io so che pace c'è."
Gianluca Grignani - "Buongiorno guerra" -
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