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LA GUIDA
Paolo nacque prematuro, e fin qui non ci sarebbero stati grossi problemi. Il prematuro è un bambino che nasce prima dei nove mesi, sottopeso, non sviluppato completamente, viene collocato in una incubatrice fino ad uno sviluppo accettabile.
Oggi forse quel che è successo a lui non succederebbe, ma molti anni fa oltre alla nascita prematura, gli accadde quello che poi ha determinato il suo futuro.
Gli avevano bendato gli occhi dentro l’incubatrice. C’erano delle potenti lampade che servivano a illuminare l’ambiente, ma soprattutto avevano la funzione di mantenere ad una temperatura costante il piccolo.
Paolo riuscì a togliersi le bende, a soli sette mesi la sua forza era sorprendente.
Le lampade danneggiarono gli occhi irrimediabilmente.
Paolo non poteva dire di essere nato cieco, ma in pratica è come se lo fosse stato.
Fortuna volle che la sua cecità non fosse completa. Riusciva a vedere delle tenui ombre. I suoi occhi marrone scuro erano velati e immobili.
Sembrava che guardasse le persone, ma tutti sapevamo che non poteva vedere nulla attorno a lui.
Ho sempre sostenuto che le persone prive di qualcosa sviluppano abilità o attitudini da qualche parte. Paolo ne era una conferma.
Alla scuola per ciechi da allievo diventò in pochi anni insegnante.
Aveva anche la passione per farlo. La materia che insegnava era : orientamento.
Conosco molte persone che scaricate in qualsiasi parcheggio prossimo al centro della città, pur essendo vedenti hanno non poche difficoltà a tornare all’auto dopo solo qualche giro tra i negozi.
Andare con Paolo era una sicurezza, non importava portarsi la cartina della città o guardare i nomi delle vie, da dove eravamo partiti a piedi lui ci sapeva ritornare.
Alla maggiore età andò a lavorare in banca, si sposò con una ipovedente dalla quale ha poi avuto un figlio.
Una vita normale, senza niente da invidiare ad un vedente.
Paolo non aveva un fisico molto prestante, grandi sforzi per laurearsi, non gli permisero di dedicarsi in modo pieno anche allo sport.
Appena però la situazione più tranquilla glielo permise, decise di continuare quel percorso iniziato già sui banchi di scuola: – insegnare qualcosa agli altri -.
Non era facile trovare il giusto impegno per una persona come lui.
Un vecchio amico e vicino di casa gli suggerì il percorso giusto.
Anche se non aveva il fisico per giocare, poteva aiutare lo staff della squadra di calcio di ciechi e ipovedenti.
C’erano giovani e meno giovani, tutti felici di iniziare quell’attività di gioco, ma … non bastava.
Occorreva una giusta motivazione, una sorta di aiuto che aumentasse nei giocatori la loro autostima.
Per Paolo non era una cosa semplice, non aveva mai fatto il motivatore, ma gli veniva naturale, come quando emerse dai banchi per diventare istruttore di orientamento.
Dunque tirò fuori la sua forza, la caparbietà di uomo maturo, i giocatori vedevano in lui una risorsa incredibile. Paolo non venne mai meno al suo ruolo.
Non divenne mai allenatore, non voleva esserlo, preferiva rimanere un supporter.
Qualche giovane giocatore iniziò a chiamarlo “Mister” e lui accettò il nuovo nome.
Paolo non parlava con i giocatori di schemi o tecniche particolari, lui non lavorava sul corpo, ma agiva sulla mente. Oltre a complesse tecniche di rilassamento, cercava di far percepire il campo come la loro casa, i giocatori dovevano “sentire” il campo con tutti i sensi a disposizione, e quindi anche l’erba, il vento e tutto quel che gli arrivava.
Le altre squadre non avevano un tale formatore, era inusuale.
Troppo spesso è il risultato che conta, anche più delle persone.
Paolo non spiegava ai giocatori quanto stava facendo, e cioè di allenare le loro menti.
Se glielo avesse detto forse le loro menti si sarebbero rifiutate di fare da cavia.
I risultati non tardarono a manifestarsi.
Il merito come sempre lo prendeva l’allenatore. Nella squadra qualche giocatore aveva capito che una parte del merito era di Paolo per il suo grande lavoro dietro le quinte. Uno di questi giocatori era Stefano.
Stefano era un ragazzo cieco dalla nascita come Paolo, faceva parte della squadra da pochi anni, e gli si era molto affezionato.
Stefano era rimasto colpito dai modi semplici di Paolo, specie quando ripeteva loro :
– nulla è difficile se ci si impegna ! -.
Una volta durante una lezione Paolo spiegò ai giocatori una cosa molto importante :
– Sapete , non è facile andare in campo se ci si sente deboli, se questo accade, abbiamo già un po’ perso in partenza. Il nostro obiettivo è individuare quelli che pensiamo siano i nostri punti deboli, e se riusciremo a farli diventare i nostri punti di forza, avremo già la vittoria in pugno –
Poi c’era l’allenamento sulla morale.
Anche lì Stefano aveva avuto delle dritte importanti.
Non è importante tenere il morale alto quando si perde, è altrettanto importante la correttezza quando si vince. Il comportamento da tenere con gli avversari perdenti, senza umiliarli.
Non c’era sempre allineamento tra allenatore e Paolo in questi atteggiamenti.
L’allenatore era colui che si prendeva il merito, qualche volta si sentiva in diritto di mortificare l’avversario. Quasi tutti i giocatori lo seguivano, Stefano invece se ne rimaneva in disparte. Paolo gli aveva insegnato che “non sempre è festa” , e qualche volta può toccare a te ad essere umiliato….
Vale sempre la regola di non fare ad altri quel che non vorresti fosse fatto a te.
Paolo stava passando un brutto momento in famiglia, la moglie si era separata da lui e si era portata dietro il figlio. Queste cose succedono ai vedenti e i ciechi non è che sono esenti.
Per Paolo poter trascorrere un po’ di tempo con la squadra rappresentava un momento di relax importante. Paolo e Stefano divennero amici, iniziò una sorte di simbiosi.
Se Stefano aveva bisogno di imparare, Paolo nondimeno voleva dare, insegnare e insieme si completavano. C’era differenza di età, ma non importava, non era molta.
Paolo superò bene il periodo di separazione, poteva vedere il figlio tutte le settimane, dedicarsi allo sport e alla formazione a tutto tondo, aveva anche trovato anche degli amici.
Come in tante storie della vita non sempre c’è il lieto fine, e poi che cosa significa lieto fine ? Quello che tutti aneliamo ? Ci si riferisce al genere : – e vissero tutti felici e contenti ! – ??
Certo sarebbe stato meglio se Stefano fosse diventato campione e Paolo un selezionatore della nazionale. Non è successo questo.
Paolo si ammalò di una rara malattia al sistema endocrino. Dovette rinunciare ad allenare la squadra a causa di una lunga permanenza all’estero per cure.
Prima di partire riunì la squadra per i saluti.
Annunciò a tutti di abbandonare il suo ruolo al termine di una partita di campionato.
Iniziò quel monologo di fronte a persone non vedenti con un tentativo di mascherare il groppo in gola. Gli atleti non lo vedevano, ma come sempre avrebbero “sentito”
la sua voce, da lì avrebbero valutato.
Pause, voce tremante non avrebbero dato fiducia alla squadra.
Doveva lasciare un ultimo ricordo del suo lavoro. Anche per Stefano fu un colpo allo stomaco. Il suo supporter, l’amico, non gli aveva detto nulla fino a quella sera.
Molti sapevano del rapporto di amicizia fra i due.
Stefano non pianse.
Paolo aveva lavorato bene sul distacco delle emozioni.
Entrambi si trovavano ora davanti a percorsi diversi.
Si erano arricchiti entrambi. Non è roba da poco.
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