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La lampada a incandescenza (III parte)

Creato il 12 marzo 2011 da Sabrinamasiero

La lampada a incandescenza (III parte)Joseph Wilson Swan.


di Giovanni Boaga

Solo a partire dal 1878 Edison si comincia a interessare della realizzazione di lampade a incandescenza. Sulla scia di quanti lo avevano preceduto e con la consueta energia comincia una serie di sperimentazioni con filamenti di platino e, dal 1879, anche con fibre vegetali carbonizzate. La lampada, che presentò il 31 dicembre 1879 e che utilizzava un filamento di carta carbonizzata, entrò in produzione l’anno successivo, costruita e commercializzata dalla Edison Lamp Company. La convinzione che le fibre vegetali carbonizzate fossero la soluzione ottimale lo portò a sperimentare per parecchi anni con molte specie di bambù, trovandolo particolarmente adatto a fornire il materiale per il filamento delle sue lampade.

La presentazione in pubblico della fine del 1879 della lampada a filamento di carbone fu anticipata, però, da quella che Swan fece nel febbraio dello stesso anno alla Royal Society di Newcastle, coronando così più di trent’anni di studi sulla possibilità di realizzare una lampada a incandescenza.

Le lampade prodotte industrialmente da Edison in quel fatidico 1880 durano solo un centinaio di ore e non hanno ancora una buona efficienza luminosa, cioè un valore adeguato del rapporto tra il flusso luminoso prodotto e la potenza in ingresso, misurato in lumen/Watt (lm/W). A confronto con le lampadine a incandescenza di oggi che hanno valori di efficienza intorno ai 14lm/W, quelle commercializzate dalla Edison Lamp Company non superavano i 4lm/W.

La lampada a incandescenza (III parte)
Alessandro Cruto.

La sfida al miglioramento di efficienza e durata delle lampadine viene raccolta, tra gli altri, anche da un singolare ricercatore piemontese: Alessandro Cruto. Coetaneo di Edison (era nato anche lui nel 1847), non segue studi regolari ma si dedica, con accanimento giovanile e una grande e profonda curiosità che lo caratterizzò per tutta la vita, al tentativo di ottenere artificialmente diamanti per uso industriale. Con grandi sacrifici dell’intera famiglia si procura anche una pompa in grado di produrre forti pressioni con la quale riesce a ottenere lamine di carbonio lucenti ed elastiche come l’acciaio, certo molto lontane dal diamante sognato.

Il 1879 è un anno di svolta per il giovane Cruto. Come lui stesso racconta nei suoi taccuini, all’inizio di quell’anno era venuto a conoscenza degli studi di Edison sulle lampade a incandescenza e il 24 di maggio non si lasciò scappare una conferenza che il celebre Galileo Ferraris tenne nel Museo Industriale Italiano proprio su quello stesso argomento. L’impressione fu grande e Cruto, immediatamente, cominciò a interrogarsi sulla possibile applicazione dei suoi studi sul carbonio alla realizzazione di lampade.

La lampada a incandescenza (III parte)
Lampade a incandescenza Cruto.

Dopo un primo scoraggiamento per la difficoltà di ottenere fondi adeguati, riesce a catalizzare l’attenzione di qualche finanziatore e, il 5 marzo 1880, realizza «il 1° esperimento d’illuminazione elettrica allestito nel laboratorio nella Regia Università di Torino». Le sue lamine di carbonio danno prova di perfetta omogeneità ma l’illuminazione dura poco, complice una non perfetta realizzazione del vuoto nelle ampolle di vetro. È solo l’inizio. Mentre Edison comincia la produzione industriale delle sue lampadine con filamento di carbone vegetale, Cruto si butta in esperimenti continui fino a comprendere che le lamine di carbone, per quanto di buona qualità, non sono la soluzione ottimale. «[… ]Convinto poi che quella forma dei carboni non era la più appropriata e che la forma a filamento meglio si addiceva allo scopo, studiai il modo di ottenerlo in filo. Trovai il modo di ottenerlo facendo depositare il carbonio sopra un filo finissimo di platino, percorso da una corrente elettrica da portarlo al rovente in un’atmosfera di idrogeno bicarbonato». È qui l’idea vincente: non più una lamina ma un sottilissimo tubicino di carbonio sintetico che presenta, a differenza del carbone vegetale, caratteristiche controllabili. Ma il lavoro non è finito perché lui stesso si rende conto che una lampadina, a dispetto della sua apparente semplicità, è un insieme di parti che presentano difficili problemi di costruzione se si vuole che essa sia efficiente e duri nel tempo.

 

La lampada a incandescenza (III parte)
Stabilimenti della Società Italiana di Elettricità Sistema Cruto.

Perfezionate tutte le altre parti della lampada, come le saldature del filamento ai reofori metallici che meritano, secondo Cruto stesso, l’appellativo d’invenzione, il prodotto è pronto. Nell’Esposizione di Elettricità che si tiene nel 1882 fa un’ottima figura e l’inventore piemontese diventa famoso tanto da spingere il comune di Piossasco, sua città natale, a istallare un impianto di illuminazione pubblica con le “lampade Cruto”. Il 16 maggio 1883 le strade della piccola città della provincia di Torino s’illumineranno con lampadine elettriche, un anno prima di Parigi sempre indicata come detentrice di questo primato.

La lampada a incandescenza (III parte)
Lampada a incandescenza Cruto.

La qualità tecnica della lampadina prodotta della Società Italiana di Elettricità Sistema Cruto, fondata dall’inventore nel 1885 che troverà sede ad Alpignano, è senza dubbio superiore a quella delle lampade di Edison. Il filamento ha una resistività uniforme e una resistenza costante garantendo maggiore durata e migliore qualità della luce prodotta, bianca e non giallastra come quella delle lampadine d’oltreoceano. E oltre alla certificazione ottenuta dai test realizzati al Politecnico di Zurigo dal celebre fisico Weber, la qualità delle lampade Cruto è testimoniata dal successo che hanno anche fuori d’Italia, andando a illuminare le case e le strade di Ginevra, Parigi, New York e l’Avana.

La lampada a incandescenza (III parte)

La figura di Cruto certo non si può paragonare a quella di Edison, Bell o von Siemens che riuscirono a costruire dei veri e propri imperi industriali sfruttando a dovere i brevetti delle loro invenzioni. Nonostante questo rappresenta una delle eccezioni nel panorama degli inventori italiani dell’Ottocento. Con grandi difficoltà riesce a passare dalla dimensione dell’invenzione a quella della produzione, a realizzare quella trasformazione dell’idea in prodotto che non trova molti riscontri nel nostro paese appena uscito dalle guerre risorgimentali. Al contrario della Germania e degli Stati Uniti, alla fine dell’Ottocento l’Italia è un paese giovane e come tale non ancora maturo per consentire quel trasferimento tecnologico che è il risultato certamente dell’azione di uomini ingegnosi ma anche, e soprattutto, della mentalità di un sistema industriale che colleghi il profitto agli investimenti nella ricerca.
A centocinquant’anni dall’Unità il nostro paese ha costruito un sistema produttivo in grado di stimolare la ricerca e recepirne in modo adeguato i risultati migliori?

Giovanni

Pubblicato inizialmente su Storie di Scienza .


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