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La lampada verde

Creato il 04 giugno 2010 da Renzomazzetti

LA LAMPADA VERDENell’inverno del 1921 a Londra due uomini di media età, ben vestiti, si fermarono all’angolo di un vicolo della Piccadilly. Erano appena usciti da un ristorante di lusso dove avevano cenato, bevuto e scherzato con delle attrici del Teatro Drurilen. La loro attenzione fu ora attratta da un uomo mal vestito di circa venticinque anni che giaceva immobile e attorno al quale la gente aveva cominciato a radunarsi. Stelton! Disse disgustato il gentlemen grasso al suo amico alto vedendolo curvo ad osservare l’uomo steso. Parola d’onore, non vale la pena interessarsi tanto di simili carogne. Sarà un ubriaco oppure un morto. Ho fame… e sono vivo, balbettò il disgraziato sollevando il capo per vedere Stelton, che intanto era rimasto pensieroso. E’ stato uno svenimento. Ramer! Disse Stelton. Ecco l’occasione per combinare uno scherzo. M’è venuta una bella idea. I soliti passatempi mi sono venuti a noia, ci si può divertire bene solo in un modo: facendo giocattoli degli uomini- Queste parole furono pronunciate a bassa voce affinché l’uomo sdraiato, era appoggiato ad un’inferriata, non le udisse. Ramer non si interessò affatto alla cosa e, alzando sprezzantemente le spalle, salutò Stelton e se ne andò a trascorrere la nottata nel suo club. Quanto a Stelton, tra l’approvazione della folla e con l’aiuto di un poliziotto fece salire il vagabondo su un cab. La carrozza si diresse verso una trattoria di Hay Street. Il vagabondo si chiamava John Yv. Era venuto a Londra dall’Irlanda in cerca di un impiego o di un lavoro. Rimasto orfano, Yv era cresciuto in casa di un boscaiolo. Oltre alla scuola elementare non aveva fatto altri studi. Quando il suo tutore morì aveva quindici anni. I figli adulti del boscaiolo se ne andarono chi in America, chi nel Galles del Sud, che in Europa. Per un po’ di tempo Yv lavorò presso un farmer. Quindi dovette sperimentare il lavoro del minatore, del marinaio, dell’inserviente nelle trattorie. A ventidue anni si ammalò di polmonite e quando uscì dall’ospedale decise di tentare la fortuna a Londra. Ma la concorrenza e la disoccupazione ben presto lo convinsero che non era tanto facile trovare lavoro. Yv dormì nei parchi, sui moli, soffrì la fame e deperì finché, come abbiamo visto, non fu raccolto da Stelton, il proprietario di grandi magazzini della city. A quaranta anni Steltoon aveva provato tutto ciò che con il denaro può provare uno scapolo che non conosca preoccupazioni di alloggio e di cibo. Possedeva un patrimonio di venti milioni di sterline. Ciò che aveva progettato di combinare con Yv era una perfetta sciocchezza, ma Stelton, che aveva il difetto di ritenersi uomo di grande immaginazione e di astuta fantasia, era molto fiero della sua pensata. Quando Yv ebbe ben bevuto, mangiato e raccontato la sua storia, Stelton gli disse: Voglio farle una proposta che le farà subito luccicare gli occhi. Mi ascolti: le darò dieci sterline a condizione che domani lei prenda in affitto una camera in una via del centro, al primo piano, con la finestra sulla strada. Tutte le sere, dalle cinque alle dodici di notte in punto, sul davanzale della finestra, sempre la stessa, dovrà ardere una lampada con il paralume verde. Finché la lampada arderà per il tempo stabilito, dalle cinque alle dodici, lei non uscirà di casa, non riceverà nessuno e non parlerà con nessuno. Insomma, è un lavoro facile. Se lei accetta, le manderò ogni mese dieci sterline. Il mio nome non glielo dirò. Se lei non scherza, rispose Yv estremamente meravigliato dalla proposta, sono pronto a dimenticare anche il mio nome. Non potrebbe dirmi però quanto durerà questa mia fortuna? Questo non lo so. Può darsi un anno, può darsi tutta la vita. Magari. Ma, oso chiederle, a che cosa le serve questa luminaria verde? E’ un segreto, rispose Stelton. Un grande segreto. La lampada servirà da segnale per persone e cose di cui lei non saprà mai nulla. Capisco. Cioè, non capisco nulla. Bene, fuori il denaro e sappia che domani stesso, all’indirizzo che le comunicherò, John Yv illuminerà la finestra con la lampada. Così, concluso lo strano affare, il vagabondo e il milionario si separarono pienamente soddisfatti l’uno dell’altro. Accomiatandosi, Stelton disse: Mi scriva al 3-33-6 fermo posta. E tenga anche presente che, non so quando, forse tra un mese o tra un anno, insomma quando assolutamente non se lo aspetterà, all’improvviso riceverà la visita di persone che faranno di lei un uomo ricco. Perché e come, non ho il diritto di spiegarglielo. Ma è così che accadrà… Diavolo! Esclamò Yv guardando il cab che portava via Stelton e rigirando pensieroso tra le dita la banconota da dieci sterline: O costui è un pazzo, o io sono proprio fortunato! Promettimi tutte queste cose soltanto per far bruciare ogni giorno mezzo litro di petrolio! La sera del giorno dopo al numero 52 di River Street una finestra del primo piano risplendeva di una calda luce verde. Una lampada era stata messa proprio vicino al vetro. Dal marciapiedi di fronte due passanti osservarono per un po’ la finestra verde; poi Stelton disse: Ebbene, carissimo Ramer, quando si sentirà annoiato venga qui e sorrida. Là dietro la finestra c’è uno sciocco. Uno sciocco comprato a buon mercato, a rate e per lungo tempo. Dalla noia si darà al bere o impazzirà… Però resterà ad aspettare, senza sapere nemmeno lui che cosa. Ma eccolo! Effettivamente una figura scura, con la fronte appoggiata al vetro, guardava la semioscurità della strada quasi a domandare: Chi è là? Che cosa devo aspettare? Chi verrà? Però anche lei è uno sciocco, mio carissimo, disse Ramer prendendo l’amico sotto braccio e conducendolo verso un’automobile. Che c’è di allegro in questo scherzo? Il giocattolo… Un giocattolo fatto di un uomo vivo, disse Stelton. E’ il piatto più prelibato. Nel 1928 l’ospedale P. per i poveri alla periferia di Londra risuonò di urli spaventosi: chi gridava, in preda ad un dolore terribile, era un vecchio appena arrivato, sudicio, vestito miseramente, dal viso consunto. Si era fratturata una gamba inciampando per la scala buia di un locale malfamato. Il ferito era stato trasportato al reparto chirurgia. L’incidente si rivelò grave, poiché la frattura multipla dell’osso aveva provocato una rottura dei vasi sanguigni. Essendo già cominciato un processo infiammatorio dei tessuti, il chirurgo che aveva visitato il poveraccio concluse che bisognava operarlo. Il che fu subito fatto. Poi il vecchio, stremato, fu steso su un letto e ben presto si addormentò. Al risveglio vide davanti a sé il chirurgo che gli aveva tolto la gamba destra. Ecco dunque come ci è rincontrarci, disse il medico, Era un uomo alto, dall’aspetto serio e lo sguardo triste. Non mi riconosce, mister Stelton? Sono John Yv, quello che lei incaricò di vegliare ogni giorno presso una lampada verde accesa. Io l’ho riconosciuta appena l’ho vita. Per mille diavoli! Esclamò Stelton aguzzando lo sguardo. Che cosa è accaduto? E’ mai possibile? Sì. Mi racconti com’è che la sua vita è cambiata tanto bruscamente. Sono andato in rovina… Alcune grosse perdite… Il panico in borsa… Ormai è da tre anni che non sono più nulla. E lei? Lei? Per qualche anno ho acceso la lampada, sorrise Yv. Poi, dapprima per vincere la noia,quandi con interesse, presi a leggere tutto ciò che mi capitava sotto mano. Un giorno aprii un vecchio libro di anatomia che stava su uno scaffale della stanza in cui vivevo. Ne rimasi colpito. Davanti a me si aprì l’attraente paese dei misteri dell’organismo umano. Come ebbro, lessi quel libro tutta la notte. Il mattino dopo andai in una biblioteca e domandai: Che cosa bisogna studiare per diventare medico? La risposta fu derisoria: Studi la matematica, la geometria, la botanica, la zoologia, la morfologia, la biologia, la farmacologia, il latino eccetera. Ma io insistetti a domandare e mi tenni tutto a mente. A quell’epoca erano già due anni che accendevo la lampada verde, ma una sera, rincasando (ormai non ritenevo più indispensabile starmene rinchiuso per sette ore come in precedenza), vidi un uomo con il cilindro che guardava la mia finestra verde non so se con stizza o con disprezzo. Yv è il classico sciocco, borbottò l’uomo non accorgendosi di me. Aspetta le cose meravigliose che gli sono state promesse… Però lui, almeno, ha una speranza, mentre io… sono quasi rovinato! Quell’uomo era lei… Poi soggiunse: Uno scherzo sciocco, non valeva la pena di gettare via il denaro. Avevo comprato libri a sufficienza per studiare, studiare e studiare senza badare a nulla. Per poco non la colpii allora per strada, ma mi ricordai che era grazie alla sua ingiuriosa generosità che potevo diventare una persona istruita… E poi? Chiese Stelton con voce sommessa. Poi? Bene. Quando si vuole fortemente una cosa, non si tarda ad ottenerla. Nella casa dove abitavo c’era uno studente che prese interesse a me e mi aiutò a dare, un anno e mezzo dopo, l’esame di ammissione ad un college di medicina. Come vede, mi sono rivelato una persona capace… Ci fu un momento di silenzio. E’ da molto che non vengo più alla sua finestra, proferì Stelton sconvolto dal racconto di Yv. Da tanto in tanto…, tanto tempo. Ma adesso mi sembra come se là arda ancora la lampada verde… una lampada che illumina il buio della notte… Mi perdoni. Yv guardò l’orologio. Sono le dieci. Adesso lei deve dormire, disse. Probabilmente fra tre settimane potrà lasciare l’ospedale. Mi telefoni, allora. Forse le troverò un lavoro nel nostro ambulatorio. Registrerà i nomi dei pazienti in arrivo. Però quando scende una scala buia accenda… almeno un fiammifero. -Aleksandr Grin, 11 luglio 1930-

APOTEOSI

LA LAMPADA VERDE

Più del bronzo innalzai cosa durevole,

grande ancora di più delle piramidi,

che né pioggia né vento infaticabile,

né la serie degli anni innumerevole

o la fuga del tempo osi distruggere.

No, non tutto morrò, molto a Libìtina,

sì, di me sfuggirà, sempre di postera

lode io crescerò: fin che la vergine

salga al tempio del dio con il pontefice,

si dirà, dove il forte Ofanto strepita,

dove Dauno regnò si genti rustiche,

che, fatto grande, io, d’umili origini,

della Grecia mutai, primo, l’eolico

carme in metro latino. Ebbi l’orgoglio

che hai saputo acquistar con i tuoi meriti,

e al mio capo l’alloro offri, o Melpomene.

-ORAZIO-


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