Fernand Braudel
Come la portoghese Gajeta falkusa stringe il vento
Il giornalista e scrittore genovese Giovanni Panella, specializzato in storia e cultura marittima, nella sua ultima opera appena ora in libreria, La vela latina, non poteva trovare una citazione migliore per introdurre il suo libro, se non quella tratta da Il Mediterraneo di Braduel.Ciò gli serve per spiegare perché la latina è più di una vela e lo fa parlando del dibattito sulle origini. In fondo è solo un tipo di vela, di taglio triangolare, non si distingue dalle altre che più o meno la stessa forma. Però al primo sguardo ha qualcosa di diverso rispetto alle “altre” vele, ci pare un po’ storta o piegata all’indietro.
Mosaico del XII secolo, Basilica di San Marco, Venezia
A snistra: Combattomento della nave San Francesco da Paola contro una squadra di corsari barbareschi, 1763 (Genova, Galata Museo del Mare. Si noti l’uomo arrampicato sull’antenna che brandisce una spada).Questo perché la vela non è legata (o, come si dice, inferita) direttamente all’albero, ma a un lungo pennone collocato di traverso, detto antenna che con il variare della rotta e della direzione del vento modifica l’inclinazione rispetto all’albero, mutando così la forma d’insieme. E se la latina è una delle tante vele che hanno accompagnato l’avventura umana sui mari, ci sono buoni motivi per dedicarle attenzione. Il primo è legato alle vicende storiche che hanno portato alla sua diffusione nel corso di più tredici secoli quando la vita nel Mediterraneo si è svolta su navi e imbarcazioni a vela latina, rappresentando un elemento di continuità che segue la nostra storia. Il successo così prolungato è dovuto alle sue proprietà così descritte nel 1889 nel Vocabolario Marino Militare di A. Guglielmotti: “Linda, con poche manovre, non ha bisogno di boline, non di bracci, non di mantiglie ed è la migliore per stringere il vento. Essa va all’orza sino a quattro quarte, quindi domina l’orizzonte per ventiquattro rombi; dove la vela quadra a stento non raggiunge che venti.”
“Boline, bracci e mantiglie” erano le varie manovre con le quali si cercava di migliorare le prestazioni delle vele quadre per stringere maggiormente il vento.
Parlando di rombi, si fa riferimento al quadrante della bussola, che è diviso in 32 rombi, ognuno dei quali rappresenta 11 gradi e 15 primi. Andare all’orza cioè risalire il vento per 24 rombi vuol dire che la latina può arrivare a stringere il vento fino a 270°, mentre la quadra giunge solo fino a 225°. Una differenza non da poco: vuol dire fare meno bordi su una rotta che risalga il vento su un’andatura di bolina, e se si è in guerra consente di sfuggire facilmente a un veliero nemico. Se la principale ragione del successo è dovuta alla sua capacità di stringere il vento la seconda è che sotto un colpo di vento l’antenna si flette, scaricando dalla tela la pressione eccessiva. Ecco perché l’imbarcazione a vela latina si presta a essere utilizzata sotto costa dove bisogna correggere di frequente la rotta e dove il regime dei venti sono mutevoli, situazione tipica della navigazione mediterranea.
La fortuna della vela latina si è interrotta nel Novecento e ha rischiato di essere cancellata dalla memoria. Oggi a molti appare come una curiosità del passato, un tipo di vela un po’ strano… Ma per superare questa impressione c’è solo un modo, assicura il nostro Autore, provare la latina nel suo elemento, prendendo il largo in una giornata di forte vento, a raffiche di tramontana. Sentendo come la vela stringe il vento e poi come la lunga antenna si flette scaricando facilmente le raffiche più violente e improvvise, senza bisogno di ridurre la vela, si capisce perché per tanto tempo sia stata considerata adatta al mare “in mezzo alle terre”, al Mediterraneo.
A sinistra, Stele funeraria di Alessandro Mileto, Museo Archeologico Nazionale di Atene
Il secondo vero motivo di interesse nello studio della vela latina sta nel ruolo che essa ha avuto nel Mediterraneo negli ultimi decenni come protagonista del processo di valorizzazione della cultura marinara. In un contesto dove la cultura marittima si presentava come marginale, l’aggregazione di molti appassionati è venuta proprio grazie alla latina. E l’invenzione delle regate con la latina ha portato a salvare e a restaurare gli ultimi esemplari di imbarcazioni tradizionali, come i gozzi sorrentini, la barques catalane e i battelli di Carloforte.
La vela latina è patrimonio eminentemente mediterraneo, ma la sua diffusione in mari e terre lontane da noi ha visto come protagonisti principali i popoli arabi, per questo un capitolo de libro è dedicato alle vicende di alcune imbarcazioni arabe.
Una regata a Dubai
In questo suo libro Panella non ha avuto l’ambizione di trattare in modo esauriente le innumerevoli tipologie di vele latine che si sono sviluppate nel corso dei secoli. È una vicenda complessa, resa ingarbugliata dal fatto che a navi diverse, nel corso della storia, sono stati attribuiti gli stessi nomi. Così il libro si snoda in due differenti sezioni attraverso la storia e la geografia della vela latina con il primo capitolo che parla dalle origini al Novecento e a seguire i tipi di veleni, le ultime lettino, viaggi e migrazioni e le testimonianze della latina araba. Nella seconda parla dei restauri e delle ricostruzioni, dei progetti moderni, per finire con le regate e i raduni.Infine non tralascia le tecniche di manovra, bussole e uomini sull’antenna e il prezioso glossario dei termini marinari non dimenticando un utilissimo elenco delle Associazioni Vela Latina, ne ha censite quindici. Esauriente l’apparato iconografico e ben quattro pagine di bibliografia.
Il Mediterraneo è lo storico titolo del libro di Braduel. È oramai esaurito, ma se ancora non l’avete nella vostra biblioteca personale, scrivete o telefonate in libreria 063612155 a Marco, il segugio. Sicuramente ve ne troverà una copia.
Anche l’edizione 2007 del Vocabolario Marino Militare di A. Guglielmotti è esaurita, però il segugio risolve.