Forse un domani neanche tanto lontano la vostra laurea potrebbe non valere più nulla. Molto dipenderà dall'esito della consultazione online lanciata dal Ministero dell'Istruzione (http://www.istruzione.it/web/ministero/consultazione-pubblica) a cui tutti possono dare il proprio contributo fino alla scadenza fissata per il prossimo 24 aprile.
Il metodo è innovativo, non si può negare. Se non sbaglio è la prima volta in assoluto che i cittadini sono chiamati a esprimere un parere sul web.
Diversi però sono gli aspetti negativi. Innanzitutto non è stata data sufficiente pubblicità all'iniziativa e questo rischia di relegarla in un un esercizio riservato a una élite. Senza contare che gli strumenti informatici in Italia non sono ancora alla portata di tutti e nemmeno della maggioranza della popolazione.
Una volta arrivati sul sito con l'intenzione di partecipare, potrebbe a mio avviso scoraggiare i benintenzionati l'avviso secondo cui ci vorrebbe un'ora per rispondere alle domande: personalmente ci ho impiegato una ventina di minuti.
I quesiti sono 15, suddivisi in quattro blocchi.
Nella scelta delle risposte tra il "sì" e il "no" non è mai previsto il "non so" e questo può mettere in difficoltà chi non è abituato a opzioni secche. A volte però sono previste domande aperte, a cui è possibile rispondere argomentando. Inoltre non è obbligatorio rispondere a tutti i quesiti.
Entrando invece nel merito della questione, occorre specificare che l'eventuale abolizione del valore legale del titolo di studio riguarderebbe l'accesso alle professioni e al pubblico impiego, non l'accesso all'impiego privato e neppure quello a eventuali cicli di studi successivi.
Personalmente sono contraria e proverò a spiegare il perché.
Innanzitutto mi sembra che si affronti il problema dalla coda e non dalla testa: siccome l'istituzione scolastica in Italia è dequalificata e gli studenti non imparano nulla, legalizziamo l'ignoranza generale.
Insomma mi sembra una resa bella e buona che deprimerebbe ulteriormente non solo il nostro sistema formativo ma anche il sistema economico, spazzando definitivamente quella meritocrazia di cui tanto si parla ma che così poco viene praticata.
Certo, il merito non deriva soltanto dagli studi fatti, però questi ne costituiscono una parte importante.
Ci sono scuole che non funzionano? Corsi universitari inutili o scadenti? Bene, si faccia un esame severo senza guardare in faccia a nessuno, nel settore pubblico come in quello privato, e si prendano i dovuti provvedimenti.
Infine non trascurerei l'effetto psicologico che questa proposta può avere su chi insegna e su chi sta studiando.
Se quello che faccio, al di qua o al di là della cattedra, non serve a nulla, che senso ha impegnarsi per il meglio?
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