Per essere sicuri che chi vi illumina su certi temi – come politica, società, economia – non stia tentando di prendersi gioco di voi, di tendervi un raggiro, contate pure quante volte costui infila nel discorso le parole, etica, principi, solidarietà, equità ecc. ecc. Se non è un prete di professione siete certamente in presenza di un truffatore che vuole sfilarvi il portafogli, di un uomo politico che vuole il vostro voto o di un affarista che punta ai vostri risparmi per i suoi traffici. Di solito, chi non pratica certi valori li cita e chi non li cita cerca di metterli in pratica. Non sempre, ma spesso è così. Non è un caso che i fanatici dell’eticità verbale siano, soprattutto, quelli in cerca di una credibilità di facciata adatta a mascherare “i trucchi del mestiere” e proseguire allegramente sulla “cattiva strada”.
Immaginate di dover chieder aiuto a qualcuno per un problema concreto e costui, anziché attivarsi per darvi una mano, vi tiene, su due piedi, una lezione di amicizia ed amore per il prossimo. Il prossimo ce l’ha davanti ma non lo vede se non per farsene beffe ed innalzare la sua coscienza arcobaleno sulla scala dei buoni propositi universali, facili da disattendere proprio perché irraggiungibili. Hai fame e loro ti declinano le qualità del pane senza dartene un pezzetto. In tale modo funzionano le cose da noi, diciamo in tutto l’Occidente civilizzato, dove il partito del bene a chilometri illimitati (e costi addebitati alla collettività) ha scalzato col buonismo querulo la mera buona azione, facendo dell’infatuazione per le differenze (di genere, di pelle, ecc. ecc.) la via maestra per l’indifferenza generalizzata.
C’è sempre una piccolo gruppo di diseredati o di oppressi da coccolare e al quale garantire quote di riserva per migliorare il mondo. Proteggendo gli ultimi sperano di fregare tutti, ultimi non esclusi. A servirsi di costoro sono alcune maggioranze rumorose e indignate che adottano la tirannia delle minoranze (nelle quali, e non si capisce perché, ci mettono pure le donne, come scriveva Tom Wolfe ne Il falò delle vanità) per imporre la propria visione agli altri, i quali se tentano di sfuggire a questo assolutismo ideologico, privo di passioni reali, diventano nell’ordine: 1) antidemocratici, 2) razzisti, 3) sessisti, 4) reazionari, 5) depravati.
Questo imbroglio si è tanto diffuso che ormai non c’è associazione, organizzazione, amministrazione, corporazione, sindacato, istituto o fondazione che non abbia il suo codice etico e il suo vademecum per l’armonia sociale. Persino la finanza e le banche hanno incorporato il gene dell’etica nel loro patrimonio spirituale (quello materiale continuano ad amministrarlo alla vecchia maniera), cosicché adesso ci assicurano che per loro la beneficienza viene anche prima dei profitti, anzi questi sarebbero un mezzo per concretare quella. Le banche si sarebbero trasformate in Onlus senza fino di lucro e noi dovremmo crederci. Cioè dovremmo berci la fandonia, per citare un caso esemplare, che il magnate americano Soros ha fatto i soldi, speculando su qualsiasi cosa, non per arricchirsi e condizionare i governi con i suoi quattrini ma per promuovere la «società aperta» e la pace incondizionata. Siamo in presenza di un fenomeno nuovo ed incredibile che avrebbe costretto Marx a riscrivere tutto il Capitale: l’accumulazione capitalistica per l’altruismo.
Senza voler fare i moralisti, sappiamo perfettamente che compito di una banca è, tra gli altri, quello di creare prodotti finanziari da vendere sul mercato con un guadagno, di fare denaro dal denaro, e, pertanto, nessuno si aspetta qualcosa di diverso da ciò. Le banche sono imprese come le altre che da dati input esitano dati output. Immorale è, semmai, far credere che non ci siano azzardi nei business che propongono. Si può essere “fortunati” (gli insider traders e i loro amici lo sono molto) e aumentare il gruzzolo investito, “sfortunati” e rimpicciolirlo, ingenui e vederlo sparire dopo che si sono ricevute rassicurazioni in senso contrario. Se le informazioni sono, non dico trasparenti, ma abbastanza chiare ed il rischio è, non dico equamente distribuito, ma almeno proporzionato, tra istituto e cliente, l’operazione è accettabile ed ognuno può assumersi le proprie responsabilità.
Ad ogni modo, sappiamo benissimo che, nel 2008, la sfera finanziaria è entrata in fibrillazione per via della crisi globale, dipendente da fattori che vanno oltre quelli puramente economici. Da quel momento, molte attività appartenenti a quel campo, che precedentemente risultavano facilmente gestibili, sono diventate ingovernabili. Questo è avvenuto non per la mancanza di moralità dei singoli banchieri ed operatori del settore, ma per un fatto strutturale ed intrinseco al funzionamento del sistema nella sua generalità.
Come ci insegna l’economista Gianfranco La Grassa: “La finanza è indispensabile – soprattutto in epoche di grandi cambiamenti e trasformazioni – poiché nel capitalismo la gran parte di ciò che è prodotto è merce e si deve scambiare mediante denaro. Senza quest’ultimo non solo non ci sono scambi, ma nemmeno investimenti e innovazioni, e neppure avanzata ricerca scientifico-tecnica; soprattutto non c’è la potenza, termine entro cui ricomprendo tutta l’attività politica, nel senso più lato possibile, senza la quale non ci si sviluppa né ci si difende dalla crisi e dall’arretramento di posizioni di fronte ai competitori. Quando però c’è necessità di un dato mezzo, chi lo possiede ne approfitterà, in specie quando i bisogni d’esso aumentano (appunto nelle epoche di trasformazione); e approfittarne significa credere ad un certo punto di poter fare denaro tramite denaro, inventare trucchi, imbrogli, creare le famose “bolle speculative”, ecc. La “distorsione” del sistema è intrinseca al funzionamento specifico d’esso. Il settore che manovra denaro tende ad autonomizzarsi rispetto al resto, ha le sue imprese, ecc; quindi chi dirige queste ultime agisce come se tutto il mondo fosse solo quello della finanza”. Lo ripeto: inutile lamentarsi, chiedendo allora nuove regole, una nuova etica, ecc. Più semplicemente, vanno messi “a regime” gli apparati finanziari; ma ciò avverrà fino alla prossima trasformazione con nuove grandi esigenze di mezzi monetari. La “storia” si ripeterà quindi con le solite modalità (anche se i subprime e i derivati sostituiscono altre precedenti forme di “malaffare” e saranno sostituiti, la prossima volta, da qualcosa d’altro)”.
Meglio la situazione non potrebbe essere esplicitata e la lezione appresa dovrebbe aiutarci a non cadere nelle trappole disseminate sul cammino della consapevolezza dalla LUM (Lega Universale Moralisti).
Questo insegnamento, per esempio, dovrebbe essere efficace a demolire le sciocchezze messe in giro dagli imbonitori dell’etica, i quali per rifarsi una verginità – in un momento in cui gli occhi della pubblica opinione si fanno minacciosi per le fregature patite – ci impacchettano la abituale iniziativa equae solidale, sperando di strapparci qualche lacrimuccia e portarci a dimenticare le frodi subite. Adesso ci prova Banca Intesa che lancia la sua Fondazione Etica, si chiama proprio così perché la spudoratezza non ha limiti. Dal suo sito apprendiamo che:
“Fondazione Etica è un nome non facile: rischia di farci apparire presuntuosi o, forse, semplicemente ingenui. Di ciò siamo consapevoli. Da parte nostra, riteniamo “etica” una parola coraggiosa di cui occorre riappropriarsi: gli abusi di cui è stata, spesso, oggetto nel linguaggio comune, non devono sminuire la portata del suo valore. Il nome, in certo senso, è anche, di per sé, un programma: riportare l’etica alla base di ogni attività politica, economica, ed, in generale, pubblica. Quella di cui parliamo è…l’etica come comportamento collettivo, come norma comune per la convivenza all’interno di una comunità di persone, sia essa Azienda, Partito, Banca o Stato. L’etica dell’individuo non può bastare se l’Azienda per cui lavora o la Banca che dirige non perseguono anch’esse comportamenti etici. Né sarà sufficiente, in tal senso, che l’Azienda e la Banca sottoscrivano enunciazioni di principi etici generici, da esibire sulla carta ma da contraddire praticamente nella ricerca esasperata di profitti e di successi continui. Non c’è da inventare nulla: la Costituzione è, di per sé, uno strumento formidabile di etica pubblica per il cittadino e le comunità in cui vive. Intendiamo ripartire da lì, lavorando per la sua diffusione e piena applicazione, non guardando più ad essa con la testa rivolta al passato, ma come ad una Costituzione “rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione, che apre le vie verso l’avvenire” (Piero Calamandrei, 1955). Una Costituzione strumento di futuro”.
Parliamo dell’Istituto guidato da Giovanni Bazoli, coinvolto in tutte le manovre sistemiche, sia finanziarie che politiche, della I e della II Repubblica. Corrado Passera ne è stato per anni Amministratore Delegato, prima di essere cooptato da Monti nel suo governo. Chi fa politica ha bisogno di soldi e chi fa affari ha bisogno di appoggi, quindi non occorre sorprendersi quando siffatte sovrapposizioni vengono allo scoperto, al pari dei reciproci favori. Insomma, in questa ennesima (af)fondazione c’è tutto il mix micidiale del politicamente corretto intercontinentale, al quale va ad aggiungersi una indigesta specialità nostrana: l’attaccamento imperituro alla Costituzione, che più la tirano su e più la spingono giù, pur essendo già stata sepolta dagli eventi e dai mutamenti irreversibili del contesto sociale nazionale. Altro che etica, questi qui non hanno rispetto nemmeno della (Carta) “morta”.