L’uso del fruttosio è quadruplicato rispetto ai livelli assunti nei primi anni del ’900, a causa della sua presenza come dolcificante in molte bevande; in particolare, se ne osserva un rapidissimo incremento negli ultimi 30 anni, e tale incremento va di pari passo con l’aumento dell’incidenza del diabete di tipo 2. Questa osservazione, che di per sé non stabilisce un rapporto di causa-effetto tra fruttosio e diabete, ha tuttavia spinto molti ricercatori ad indagare sugli effetti di questo zucchero sulla salute. I risultati indicano inequivocabilmente che elevate dosi di fruttosio determinano un innalzamento dei livelli di trigliceridi. Il fruttosio ha un più basso indice glicemico rispetto al saccarosio e quindi determina un più moderato incremento della glicemia: tuttavia la sua assunzione a lungo termine determina obesità, stress ossidativo, danni microvascolari, iperuricemia, e, soprattutto, ipertrigliceridemia (con conseguente steatosi epatica) ed ipertensione. Per questi motivi l’American Diabetes Association (ADA) sconsiglia vivamente l’uso di fruttosio come dolcificante nei soggetti diabetici e suggerisce ai non diabetici di moderare il più possibile l’assunzione di fruttosio nella dieta. Ciò vale per il fruttosio usato come dolcificante, non per quello contenuto nella frutta.
Che ci sia il fruttosio dietro all’"epidemia" di ipertensione degli ultimi decenni? Lo suggerisce una ricerca pubblicata sul Journal of the American Society of Nephrology, secondo cui il largo uso di fruttosio per dolcificare cibi e bevande industriali è responsabile di un aumento del rischio di pressione alta. E le accuse a questo zucchero non finiscono qui: è appena stato messo sulla graticola anche da una ricerca uscita su Hepatology, che ne dimostra gli effetti negativi sul fegato. (fonte: Elena Meli – Corriere della Sera – 28/07/2010)
IPERTENSIONE – I sospetti di Diana Jalal e dei suoi collaboratori del Denver Health Science Center dell’università del Colorado, che hanno condotto lo studio sulla relazione fra fruttosio e ipertensione, si sono appuntati su questo zucchero perché è uno degli elementi introdotti a dosi massicce nella nostra dieta "industrializzata": circa il 10 per cento delle calorie della dieta di un americano medio arriva proprio dal fruttosio, secondo le stime più recenti. Analizzando i dati di oltre 4.500 adulti che avevano partecipato al National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES 2003-2006) e valutandone il consumo di cibi e bevande ricchi di fruttosio (succhi di frutta, soft drink vari, prodotti di pasticceria, caramelle e così via), i ricercatori si sono accorti che la quantità di fruttosio ha molto a che fare col rischio di ipertensione. Chi attraverso la dieta introduce oltre 74 grammi al giorno di fruttosio vede crescere del 77 per cento la probabilità di avere la pressione parecchio alta (160/100 mm Hg e oltre). Adesso i ricercatori vogliono verificare se una dieta a basso contenuto di fruttosio può ridurre il rischio di ipertensione ma nel frattempo, dicono, ci sono gli elementi per ritenere che lo zucchero sia un fattore di rischio modificabile per la pressione alta.
FEGATO – Le accuse, già abbastanza pesanti, non finiscono qui: negli stessi giorni la rivista Hepatology pubblica uno studio secondo cui alti livelli di fruttosio e grassi trans nella dieta compromettono la salute del fegato. Stavolta i dati arrivano da topolini, quindi ci si potrebbe consolare pensando che non ci riguardino: in realtà sono la conferma sperimentale di evidenze già abbastanza note anche nell’uomo. «Abbiamo sviluppato un modello sperimentale nel topo che è molto simile a ciò che accade nell’uomo in caso di obesità e malattie epatiche: in questo modo siamo riusciti a capire meglio i meccanismi alla base delle epatopatie correlate al grasso in eccesso» racconta Rohit Kholi dell’ospedale pediatrico di Cincinnati, responsabile della ricerca. Kholi ha nutrito alcuni topolini con normale cibo per roditori, ad altri ha dato acqua arricchita di glucosio e cibi solidi pieni di grassi trans. Dopo 16 settimane il ricercatore ha passato al setaccio il fegato dei topolini attraverso biopsie, analisi dello stress ossidativo nell’organo e nel sangue, valutazione della presenza di cellule infiammatorie, della fibrosi e del grasso epatico. Ebbene, i topini che avevano mangiato normalmente erano rimasti magri e in salute; gli altri erano diventati obesi e avevano il fegato a dir poco malandato. «I danni al fegato del fruttosio sono noti: come i carboidrati in genere, questo zucchero stimola infatti la sintesi dei trigliceridi e favorisce lo sviluppo di steatosi, ovvero degli accumuli di grasso epatico – conferma Andrea Ghiselli, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN) -. Non a caso i diabetici sono ad alto rischio di steatosi e oggi, a differenza del passato, non si consiglia loro di usare il fruttosio come dolcificante proprio perché potrebbe metterli ancora più in pericolo».
ABUSO – Il fruttosio è "nato" infatti come dolcificante per diabetici: rispetto al saccarosio ha un potere dolcificante lievemente superiore, per cui se ne può usare un pochino di meno; inoltre, salvo una piccola quota, non viene trasformato in glucosio, per cui non incide sulla glicemia. «Però è responsabile di tutti gli altri danni sul metabolismo, al pari del glucosio – sottolinea Ghiselli -. Inoltre, è bene sfatare un mito: il fruttosio non serve a perdere peso, perché ha le stesse, identiche calorie del glucosio. Però, come sottolineano anche questi studi, è più pericoloso dello zucchero standard. È vero che per mangiare 74 grammi di fruttosio bisogna davvero esagerare; ma negli Stati Uniti non è così improbabile, perché è usato in grossa quantità per dolcificare un gran numero di alimenti. Da noi non è ancora così, ma è meglio non far finta di niente, anzi dovremmo considerare queste ricerche come campanelli d’allarme: gli Stati Uniti di oggi saremo noi fra 10 anni». Con il fruttosio come dolcificante, poi, si corre anche un pericolo tutto psicologico: «Come con tutti i dolcificanti il rischio è finire per abusare dei cibi e delle bevande che li contengono pensando che sono buoni e che, essendo senza zucchero, non fanno male. Un equivoco pericoloso che può portare proprio a quell’abuso che poi provoca danni alla pressione o al fegato», conclude il ricercatore.