In queste settimane ho fatto pulizia su uno dei miei scaffali dedicati ai libri, un mobile a cui non mettevo mano da quasi dieci anni. Ebbene sì: il mio concetto di ordine è parecchio personale e interpretativo XD
Sui vari ripiani ho trovato dei libri che non ricordavo né di aver comprato né di aver letto. Essi hanno un denominatore comune: appartengono a dei piccoli, a volte piccolissimi editori oramai scomparsi da tempo dal mercato.
Ebbene sì: attorno al 2000-2006 c’era un gran proliferare di case editrici che, seppur molto piccole, godevano di una buona distribuzione in libreria e nei megastore come Feltrinelli e Ricordi. Visto che in quegli anni compravo poco online, mi capitava spesso di acquistare volumi di questo genere, direttamente in negozio.
La ricerca di materiale alternativo al mainstream si è poi trasferita nel mercato digitale, dove l’abbondanza è tale da risultare virtualmente infinita. In quei tempi invece ci si accontentava di scegliere tra ciò che si trovava sugli scaffali.
Erano anche gli anni del mito sulla superiore qualità della piccola editoria.
Ma perché parlo di mito?
Perché, sfogliando alcuni dei volumi ritrovati nello scaffale sgomberato, mi sono accorto che in sette casi su dieci si trattava di libri non degni di essere pubblicati. Pieni di refusi, con editing modesto, con storie spesso sconclusionate e per di più peggiorati da copertine dozzinali.
C’erano poi i piccoli editori che scimmiottavano il best-seller del momento. Per esempio ho trovato due volumi della medesima collana, che facevano il verso dai romanzi di Dan Brown, ma che sono oggettivamente brutti. Dopo averli sfogliati mi sono ricordato di non essere riuscito a terminare la lettura né del primo né del secondo.
Per amor di verità c’è anche da dire che ho trovato anche alcuni vecchi libri della gloriosa Edizioni XII, che si distingueva per portare avanti il lavoro editoriale con serietà e competenza.
Però la media del materiale rinvenuto nello scaffale in questione è livellata verso il basso. Per ogni buona piccola CE scomparsa, me ne son ricordato almeno tre davvero pessime, incapaci di imitare le “grandi”, ma bramose di provarci ugualmente.
Eppure ricordo che ai tempi c’era un vero e proprio plebiscito per la microeditoria. Tutti, specialmente gli scrittori o aspiranti tali, ne tessevano le lodi.
Forse eravamo molto inesperti, o forse era solo un modo di protestare verso le grandi sorelle, che da sempre (in Italia) non fanno nemmeno un tentativo per pubblicare materiale in grado di coinvolgere un pubblico più esigente e al contempo più eterogeneo.
Il risultato è che le piccole CE di allora sono sparite tutte, e che ora il vero pungolo nel fianco dell’editoria tradizionale è il self-publishing, con i suoi pregi e i suoi non pochi difetti. Questa volta si tratta di una concorrenza assai più difficile da sconfiggere.
Il self-publishing è come un’idra: tagli una testa e ne crescono due.
Separando il grano dal loglio si riuscirà finalmente a realizzare una valida alternativa per chi è stanco delle solite scemenze del mainstream.
O magari, chissà, da qui a dieci anni ci troveremo a discutere di quanto il self-publishing era sopravvalutato e di come le grandi sorelle sono riusciti a pensionarlo, esattamente come è accaduto per la microeditoria, in un tempo lontano lontano…
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