Sulla rivista tradurre, Mariarosa Bricchi, editor di Calabuig (Jaka Book) racconta cosa voglia dire fare l’editor di narrativa internazionale, e cosa voglia dire farlo con passione, curiosità intellettuale e competenza.
Calabuig è una collana di romanzi e racconti che fa parte dell’universo editoriale di Jaka Book e pubblica testi di narrativa straniera accomunati dal tema della lontananza geografica.
Tra le tante cose intelligenti e interessanti che Bricchi ha da dirci, c’è anche questa, che fa riferimento appunto alla lontananza geografica del testo, che diventa vicinanza familiare quando quel libro entra a far parte della personalissima libreria di ogni lettore.
E questo è uno dei compiti dell’editore: trovare libri estranei, diversi, capaci di moltiplicare l’esperienza di chi legge. Spetterà poi a questi libri scavare un proprio percorso dentro la cultura che li accoglie, e diventare familiari. Penso dunque a Calabuig come a uno dei modi per diminuire la stranezza dello straniero.
E’ così che lo straniero, il diverso, che nelle nostre società occidentali oggi è identificato come il migrante, il rifugiato, il profugo – in particolare le persone che provengono dal Medio Oriente – diventa meno estraneo. Attraverso la letteratura, attraverso le voce degli autori stranieri, le esperienze di vita di quei popoli che ci sono geograficamente lontani – vicini, ci diventano familiari. Perché sono esperienze umane, quindi universali, in cui ognuno di noi può riconoscersi. E dal riconoscimento nell’Altro all’incontro con l’Altro, il passo dovrebbe quantomeno essere un po’ più breve.
L’autrice dell’articolo poi cita due romanzi, uno egiziano e l’altro giapponese, appena pubblicati, arrivati in redazione grazie al suggerimento dei loro due traduttori.
In alcuni casi, poi, le segnalazioni dei traduttori, accompagnate dalla loro appassionata autorevolezza, sono diventate libri. Voglio citare i due romanzi Calabuig, a oggi pubblicati, che ci sono stati suggeriti dai rispettivi traduttori: Le stagioni di Zhat di Sonallah Ibrahim e Il proiezionista di Abe Kazushige. Entrambi i traduttori, Elisabetta Bartuli per l’arabo e Gianluca Coci per il giapponese, hanno fatto diverse proposte. Abbiamo letto quei libri, in versioni inglesi o francesi; ne abbiamo discusso, con loro e in casa editrice. Dei due traduttori (traduttori-studiosi, in realtà) ho ammirato, oltre alla qualità delle competenze, la consapevolezza che non ogni libro è adatto a ogni editore, e la voglia di mettersi in gioco anche su questo aspetto.
E se l’editor di Calabuig non conosce l’arabo, né probabilmente era familiare con la letteratura araba ed egiziana, questo non le ha impedito di apprezzare e capire la qualità del romanzo di Ibrahim e di entrare nelle scarpe e nella testa di Zhat, la tenera (e un po’ sfigata) protagonista di questo capolavoro della letteratura egiziana:
All’altro capo del mondo, l’egiziano Sonallah Ibrahim racconta la vita quotidiana di Zhat, un’eroina senza qualità. Che è immersa fino al collo nel suo mondo, accerchiata da un quartiere, una città, una folla di personaggi mossi da abitudini, tradizioni che mi sono estranee. Ma, nella sua ostinata medietà, nei suoi sogni spavaldi e nei suoi fallimenti, Zhat è amica e vicina, partecipe di tratti così teneramente umani da sfidare la lontananza.
Perché chi l’ha detto che per leggere e apprezzare un romanzo egiziano come è Zhat c’è bisogno di conoscere l’Egitto o la letteratura araba. Quello che serve è avere una mente curiosa, e voglia di leggere.
Sono in debito con Giacomo Longhi che mi ha segnalato questo articolo. E sono in debito con Elisabetta Bartuli, le cui suggestioni trovano molto spesso eco su editoriaraba, e in questo post in particolare.