La lettrice bugiarda – La vita nel pizzo
Creato il 11 agosto 2013 da Loredana Gasparri
Quando guardo i libri negli scaffali di una libreria,
cercando il prossimo “da adottare”, mi ritrovo spesso a far correre la
fantasia, pungolata dal titolo, per cercare di indovinarne la trama. Trama che
di solito diventa del tutto personale, lontana da quella oggettiva, che poi
evapora nel momento in cui leggo la presentazione nella copertina. Mi
incuriosiva questa lettrice, e per di più bugiarda. Sono molto attirata dalla
parola “lettrice”, perché mi sento tirata in causa per prima e poi, perché
cresce l’aspettativa di essere presentata ad un’altra come me. Capita che
questa parola sia seguita da altri termini, che la definiscono con maggior
precisione. Una lettrice può essere molte cose, Irriverente o Rampante, come le
proprietarie dei rispettivi blog, oppure di tarocchi, di fondi di caffè, di un
certo tipo di libri, ecc., ma “bugiarda” ...? E’ una lettrice che mente su
quello che sta leggendo? O è una persona che legge, abituata a mentire per
abitudine? Per scoprire di più sulla trama, e mettere a tacere altre domande
insensate come queste, mi sono decisa a leggerne il riassunto. Scopro che al
centro di questo libro c’è una famiglia di donne strane e bizzarre, tutte
dotate di un potere particolare, la capacità di leggere il pizzo, che vive a
Salem, che custodiscono un segreto pesante, hanno subito perdite e ferite
copiose, e due di esse sono gemelle. Un’occhiata, come di consueto, al titolo
originale, The Lace Reader, e via verso
la cassa. E’ un’abitudine che ho da sempre, per sentire come suona il titolo
nella sua lingua madre. Un altro forte elemento di richiamo di questo libro, è
l’ambientazione a Salem, città americana diventata tristemente famosa per una
cruenta caccia alle streghe nel XVII secolo, che ha colpito la fantasia di
diversi scrittori, come Nathaniel Hawthorne, nato lì, autore de La letterascarlatta, e come Stephen King, che vi ha infilato una spaventosa bocca
dell’inferno, e Melissa La Cruz, che la rievoca nei ricordi delle sue dee in
incognito. Brunonia Barry, l’autrice di
questo libro, ci invita nella Salem del 1996: una città moderna, che vive
grazie al mare e al suo indotto, fatto di pesca, ma anche di barche a vela e
regate, e di una particolare branca di turismo, quello dell’occulto. Quest’ultimo
affonda le sue radici nell’immaginario collettivo, secondo cui Salem è diventata,
grazie a quell’evento sanguinario, la città delle streghe. Ai giorni nostri, esistono
congreghe di streghe che allestiscono negozi in cui vendono incensi, pozioni e
filtri, rimedi naturali, e che talvolta partecipano alle rievocazioni delle
cacce spietate di qualche secolo prima, per attirare e impressionare i turisti.
La voce narrante del libro è Sophya Whitney, che si presenta in modo del tutto
singolare: “Il mio nome è Towner Whitney.
No, non è esatto. Il mio vero nome di battesimo è Sophya. Non dovete credermi.
Mento continuamente. Sono pazza…questo è vero. Mio fratello minore, Beezer, più gentile di me, dice la mia è una
pazzia genetica. ‘Siamo pazzi da cinque generazioni’, afferma, come se fosse un
distintivo da portare con orgoglio, sebbene ammetta che io potrei aver alzato
il livello della nostra pazzia.” (Brunonia Barry, La lettrice bugiarda,
Garzanti, pag.11)
Se incontrassimo una persona che si presentasse così nella
vita reale, chiameremmo quanto prima un aiuto specializzato, come Forze
dell’Ordine, infermieri di istituti psichiatrici. In questo caso, entriamo
trascinati da Towner in un mondo dove niente è normale, banale, scontato, o
assomiglia a quello che dovrebbe essere di solito. La sua famiglia è composta
soprattutto da donne: la zia Eva, la più anziana, con cui è cresciuta come una
figlia, May, che Sophya ha sempre ritenuto la sua madre biologica, e con cui ha
un rapporto di incomprensione intrecciato ad amore e odio, sua sorella gemella
Lindley, chiamata così per un errore all’anagrafe, che ne ha storpiato l’originario
Lindsey, Emma, sorellastra di May e figlia di Eva, donna ferita fisicamente e
spezzata spiritualmente, ad opera del terribile marito Calvin Boynton. Sono
tutte pazze, secondo Towner-Sophya, e tutte lettrici di pizzo, in grado di
crearlo e di predire la sorte, per sé e per gli altri. L’unica che accetta
questo talento e ne fa una fonte di guadagno, oltre a mettersi al servizio
della comunità, è la zia Eva che, a poco più di ottant’anni, continua a gestire
un’attività fiorente di sala da the e predizione della sorte tramite la lettura
del pizzo. E’ un talento che la accomuna, in qualche modo, all’elemento occulto
di Salem, incarnato dalle streghe, pur non essendolo mai stata davvero. Le
altre, May, Emma, Lindley e la stessa Towner, rifiutano un dono che sentono
come un ostacolo e un impiccio imbarazzante. Quando inizia la storia, Towner
ritorna a Salem dopo un’assenza di quindici anni, dopo la morte dell’amata
gemella che l’ha lasciata sperduta e profondamente ferita, perché la zia Eva
risulta scomparsa. Salem è una città piccola e sono in molti a ricordare gli
avvenimenti del passato e a non vedere di buon occhio il ritorno della ragazza,
e a chiedersi se ha intenzione di riaprire quella porta di dolore e di oscurità
che ha colpito duramente l’intera comunità. Il fulcro del disagio e della
rabbia di Towner è Calvin Boynton, ex-regatista di belle speranze, che era
solito sfogare le sue frustrazioni per aver mancato la Coppa America
sull’ex-moglie, fino a renderla cieca e incapace di restare presente nella
realtà per lunghi periodi. Anche la figliastra Lindley (ceduta in fasce da May
a Emma, come ricorda con rancore Towner) diventa oggetto delle sue attenzioni
morbose e contro natura. Dopo l’ultima aggressione violenta ai danni della
moglie, che l’avrebbe lasciata spettro di se stessa, Calvin fugge in barca,
rischiando la vita. Come novello San Paolo, scaraventato a terra dal cavallo
sulla via di Damasco, Calvin riconosce il viso di Dio nelle onde che lo
assaltano, e si converte al calvinismo. Raduna intorno a sé una serie di
persone, per lo più sbandati ed ex drogati, che ritengono di aver ritrovato la
via grazie a lui e al suo esempio, trasformandoli nei fanatici Calvinisti,
severi castigatori di costumi e di streghe. La vita di Towner a Salem è venata
di paura, e di visioni: la zia Eva le parla nella sua testa, le mostra il pizzo
che riesce a farle vedere lampi di eventi futuri contro la sua volontà, Calvin
fa sentire la sua indesiderata presenza, attenta alla sua vita. La sorella
gemella Lindley le danza davanti agli occhi nei ricordi continuamente evocati
della loro fanciullezza passata in quei luoghi. A queste vicende personali
s’intreccia quella di una ragazza, Angela Rickey, che frequentava la casa di
Eva, che scompare misteriosamente, dopo aver trascorso del tempo con i
calvinisti. Un poliziotto, Rafferty, la affianca nei giorni del suo ritorno
indesiderato, in cui deve occuparsi di sciogliere l’attività della zia, e della
casa che lei le ha lasciato, ed è quello che l’aiuta a non perder del tutto il
gancio con la realtà, che si confonde spesso e volentieri con le sue visioni.
Questa confusione si rispecchia nel continuo cambiamento della voce narrante;
dalla prima persona di Towner si passa ad un narratore impersonale, oggettivo,
che descrive soprattutto le azioni di Rafferty, quando la ragazza non potrebbe
oggettivamente essere presente. Lentamente, i fili della vicenda lasciati
spezzati quindici anni prima, si riannodano per arrivare alla conclusione, che
ha risvolti tragici e liberatori allo stesso tempo. Il rapporto tra le gemelle,
una viva e una morta, si chiarisce, in modo inaspettato, facendoci uscire dalla
dimensione onirica in cui Towner ci ha invitato, parlandoci di sé come di una
pazza bugiarda, di cui è meglio diffidare. Una dimensione onirica che segue le
volute e le trame talvolta insensate di un pizzo: ogni capitolo, per
sottolinearlo maggiormente, introduce alcune brevi righe tratte dalla Guida
della lettrice di pizzo, scritta da Eva Whitney, che costituiscono una sorta di
bussola per orientarsi negli avvenimenti descritti. Tutto il libro è un mondo
popolato e creato soprattutto da donne; i pochi elementi maschili, Beezer,
Rafferty, Calvin Boynton, un ex-fidanzato di Lindley e Towner, svolgono ruoli secondari.
I primi due sono voci positive, protettive, mentre l’ex-marito aguzzino di
Emma, il novello San Paolo calvinista, è l’incarnazione dell’ottusità maschile
violenta e distruttiva, ma non priva di una certa intelligenza maligna e
subdola. Calvin, prima di maltrattare Emma, la convince che è colpa sua, e che
si merita tutta la violenza che lui le riversa addosso, ben guardandosi dal
riconoscere che agisce così perché totalmente immaturo e incapace di assumersi
la responsabilità dei suoi limiti e delle sue tendenze negative. Emma, dal
canto suo, accetta il suo ruolo di vittima e lo svolge fino in fondo, arrivando
anche a perdere la vista e parti di se stessa, per permettere all’ex-marito di
continuare a giustificare la propria esistenza volta alla distruzione. May, la
sua sorellastra, tenta di aiutarla, così come fa con altre donne maltrattate
che vivono nella comunità fondata da lei, ma comprende che non è possibile. Emma
non vuole essere aiutata. Towner-Sophya, dopo essere fuggita dalla realtà e
dalla verità, ed aver accettato finalmente il suo dono come un sostegno, riesce
a reagire e chiudere definitivamente con il sordo dolore costante della sua
esistenza. E’ un libro tessuto come un pizzo: fitto di fili sottilissimi,
alcuni robusti, altri deboli, che si scontrano, s’intrecciano e si dividono, si
tirano e si sciolgono, si avvolgono e cadono, e disegnano tutti la trama a
tratti incomprensibile della vita.
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