Siamo nei primi anni ‘80 in un paesino del Vermont dove l’estate dura un soffio e l’inverno è eterno. Sybil è figlia della cultura alternativa sessantottina: vestiti larghi dalle tasche giganti, gonnelloni lunghi fino ai piedi e camice fiorate. Viene da un passato di contestazione, tra collaborazioni con le Black Panters e manifestazioni contro la guerra in Vietnam, e ora fa la levatrice. Erede di una sapienza antica tutta femminile il suo compito è quello di seguire le madri che vogliono partorire in casa i loro figli, dall’inizio della gravidanza fino al parto compreso.
Le statistiche dicono che il parto in casa non è più pericoloso di quello in ospedale ma, certo, se le cose vanno male bisogna pur trovare un colpevole e allora, quando succede, la vita di Sybil e di conseguenza quella di tutta la sua famiglia, viene sconvolta.
È Connie a narrare la vicenda, Connie, che ha sempre avuto una ovvia ma esagerata cultura, in rapporto alla sua età, circa i rapporti sessuali, le gravidanze e i parti: «All’età di nove anni, raccontare alla signora McKenna e alla sua amica del passaggio di Norman Charbonneau attraverso il canale vaginale della madre per me era naturale quanto raccontare ai miei genitori che una verifica a scuola era andata bene». Connie segue, «attraverso il condotto del camino nel pavimento della mia camera», le conversazioni che i genitori tenevano a notte fonda con l’avvocato, assiste al processo, ascolta, vede e legge più di quanto a volte vorrebbe, ma non può farne a meno perché la sua vita si sta sgretolando a una velocità vertiginosa e lei deve assolutamente riuscire a dare un senso a ciò che le accade. Bohjalian innalza a vicenda di alto valore narrativo una vecchia polemica tra chi considera la gravidanza e il parto da un punto di vista esclusivamente medico, quasi una sorta di malattia, e chi invece li ritiene eventi naturali che andrebbero vissuti e trattati come tali.
Ma La levatrice non è solo un legal drama che narra di una guerra tra due modi di vedere la donna e il suo corpo, è anche un libro che viaggia con fluidità e maestria nell’infinito mondo dell’interiorità femminile, attraverso le parole di Connie ma anche quelle di Sybil. Le pagine del suo diario, che poi si scoprirà essere centrale in tutta la vicenda, aprono ogni capitolo e permettono di accedere a un mondo incredibilmente ricco fatto di forza e debolezza, sensibilità, dubbi, insicurezze e immenso amore.
E questo grazie alla capacità narrativa di Bohjalan che attraverso una scrittura fluida ed evocativa è riuscito a impossessarsi perfettamente di un mondo fatto di termini, eventi e sentimenti quasi esclusivamente femminili, con un’attenzione per il dettaglio non solo medico e legale, ma anche umano.
Ed è questa la cosa che in effetti lascia più piacevolmente perplessi, la più misteriosa e la più interessante di tutto il libro: il fatto che sia scritto da un uomo.
Qui le prime pagine del libro.
Nota sull’autore
Chris Bohjalian (1962) è di origini armene e vive nel Vermont con la moglie e la figlia. Ha scritto quindici romanzi, molti dei quali sono diventati best seller tradotti in venticinque lingue e trasposti al cinema. Le ragazze del castello di sabbia (Elliot 2013), dedicato al massacro degli armeni, è stato numero uno nella lista dei “New York Times best seller” e segnalato nell’Oprah’s Book Club.
Per approfondire
Leggi la recensione su D-La Repubblica
Chris Bohjalian
La levatrice
Traduzione di Elena Bollati
Elliot, 2014
pp. 320, € 18,50