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Wolfsburg (Germania). Un braccio meccanico posiziona due auto, nei giganteschi silos della fabbrica di VolksWagen (Credits: Sean Gallup/Getty Images)
«L'essenziale è invisibile agli occhi», diceva la volpe al Piccolo Principe. Sarà, forse la volpe ha ragione. Ma a volte siano noi a perderci nei dettagli, perdendo di vista il cuore del problema. La questione greca, ad esempio: da settimane, mesi ormai, ci stiamo arrovellando su cosa sia meglio per noi e per loro. Che restino nell'Euro o che escano. Che siano annaffiati di soldi o strozzati dai loro creditori. Che realizzino riforme liberali o di sinistra. Dibattito interessante, intendiamoci, e pure di una certa importanza per il destino dell'Unione e di altri paesi del continente, Italia in primis.
Il problema della Grecia, con la P maiuscola, tuttavia è altrove. Dentro o fuori, nutrita o affamata, che ruolo ha nell'economia mondiale, o anche solo in quella continentale, o anche solo in quella mediterranea? Vuole puntare sul turismo come i paesi balcanici del sud? Attrarre investimenti industriali approfittando del basso costo della manodopera, come i paesi dell'Est europa? Diventare un hub per il trasporto navale? Un paradiso fiscale? In ultima analisi: cosa vuole fare la Grecia coi soldi che chiede?
Non è una domanda banale. Pur condividendo dalla prima all'ultima le legittime istanze di una popolazione in enorme difficoltà, non possiamo non porcela: il rischio, nemmeno troppo peregrino, è concedere alla Grecia quel che vuole per poi ritrovarci tra qualche anno, nella medesima situazione.
Questo è un giornale che non è mai stato tenero con l'intransigenza tedesca. Non per preconcetta antipatia, o per nazionalismo d'accatto, ma perché riteniamo che far digiunare un malato difficilmente lo farà guarire. Tuttavia, la differenza tra un paese-cicala e un paese-formica, sta proprio qui. Che la cicala passa il suo tempo (e spreca i suoi soldi) vivacchiando, perché non sa cosa fare, o lo sa ma non ha voglia di investire il proprio tempo (e i propri soldi) per farlo. La formica, invece, ha una strategia - far fronte all'inverno - e usa tutto il suo tempo e tutti i suoi soldi per perseguirla.
Lo diciamo oggi, di fronte ai dati che raccontano la ripresa tedesca: +0,7%, nel quarto trimestre dello scorso anno, contro una previsione che diceva +0,3%. Nessun paese europeo ha fatto meglio. Nè la Francia (+0.1%), né l'Italia (crescita zero virgola zero), né tantomeno la Grecia, il cui Pil è calato ancora. Se ciò avviene - e secondo la teoria economica dovrebbe accadere esattamente l'opposto - non è per via del fiscal compact o della regola del 3%. Avviene perché la Germania sa dove sta andando la propria economica. Ne ha colto potenzialità e punti di debolezza. E vi ha disegnato attorno un sistema di incentivi, di regole, di previdenza e assistenza sociale, ad essa funzionali.
Non ci ha messo un giorno, né un mese, con buona pace di chi pensa, come Renzi, che sia tutto un problema di ritmo. La propria strategia, la Germania, l'ha costruita negli ultimi vent'anni, dopo l'unificazione E la sta portando avanti, inesorabile, giorno dopo giorno. Tra i tanti vantaggi negoziali che i tedeschi hanno nelle trattative, questo è il principale: che sanno dove stanno andando, cosa vogliono ottenere, a cosa possono rinunciare. Chi, come noi, vive alla giornata, un giorno con un occhio ai sondaggi, quello dopo con un occhio ai conti, parte perdente.
Land of ideas, si sono autonominati e così si promuovono nel mondo. La terra delle idee. Non è un nome scelto a caso. Puntano su un mix di manifattura e ricerca. Siccome hanno una delle tre popolazioni più vecchie del mondo - insieme a Giappone e Italia - investono tantissimo sull'istruzione dei loro giovani e fanno ponti d'oro ai migliori talenti stranieri. Hanno scelto alcuni settori strategici in cui espandersi - l'automotive ad esempio - difendendoli e promuovendoli con le unghie e coi denti. Con Industria 4.0 si sono inventati i processi produttivi di domani, fondati sulla massima automazione possibile. Hanno adeguato la loro legislazione del lavoro, fatta di tutele crescenti e di mini-jobs, a questo tipo di struttura produttiva. E rimodulato il sistema previdenziale per far fronte al calo demografico. Lo scorso anno, hanno brindato al loro primo bilancio in pareggio.
Lasciando perdere per un attimo la Grecia: noi, invece? Provate a citare una singola legge - non arrivo nemmeno a definirla strategia globale - fatta per far crescere o per tutelare quel made in Italy di cui ci riempiamo la bocca ogni volta che inspiriamo. O una visione per la promozione all'estero della nostra tanto decantata eccellenza agroalimentare. O un documento che dica quali materie prime dobbiamo produrre e quali importare. O qualcosa di minimamente strutturale nell'ambito delle energie rinnovabili. Per non parlare di cultura o turismo. Se quest'anno andrà bene, sarà soprattutto perché alla Germania, nostro primo partner commerciale, andrà meglio. Con buona pace di chi esultava per le difficoltà tedesche nei trimestri precedenti.
Stampiamocelo bene in testa, quindi, a futura memoria: quando ci stracceremo le vesti perché il trattato euro-atlantico di libero scambio - il celeberrimo Ttip - ci sta penalizzando, organizzando marce di protesta contro qualche invisibile complotto pluto-giudaico-massonico, dovremo anche ricordare che il capo della delegazione europea che segue i negoziati si chiama Paul Nemitz ed è tedesco. Che in quella delegazione non c'è nessun italiano. E che se anche ci fosse non saprebbe quali dovrebbero essere gli interessi nazionali che deve tutelare, quali settori promuovere, quali invece sacrificare. I tedeschi lo sanno. Ed è per questo che quando noi affondiamo loro galleggiano. E quando noi riemergiamo, loro volano.
Fonte: Linkiesta.it
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