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Ogni giorno è buono per un anniversario e ti capita di non farci più caso. Se poi l'anniversario è così “pregnante” da ingombrare i media, allora cerchi di tutelarti preventivamente dalle sbobbe cerimoniali e retoriche vedendo di dimenticare ancor prima di ricordare. A volte invece ti viene di ricordare, che tu ci pensi o meno, perché un anniversario ti si può imporre per la sua eccentricità, per la sua estraneità dal contesto che stai vivendo – la tua storia di oggi – e come può farlo una scatola da scarpe zeppa di fotografie di famiglia, ti riapre lo spazio mentale, e persino quello affettivo, a una corrente di pensieri che ridanno unità alla tua vita, alla percezione che hai della tua vita e della storia in cui è vissuta.
Il 20 luglio del 1928 in borgo della Gazzola nasceva Mario Tommasini. Per Parma - ancora non lo si sapeva -, fu un giorno fausto. Uno di quelli da appuntare sul calendario, magari uno di quelli antichi con i numeri grossi come un pugno.
Tommasini, Mario, ha cambiato il mondo? No, non gli è stato concesso, come sappiamo. Avrebbe avuto la forza di farlo se gli fosse stato permesso? Io ho bisogno di pensare di sì. Non più per ciò che è stato o non è stato, ma per quello che potrà ancora essere di me e del mondo. Se sono cresciuto e ora invecchio in una indeflettibile, e forse imperdonabile, speranzosità, è perché sinceramente lo credo. Credo negli uomini, o nelle figurine.
Credo nell’insegnamento di Tommasini, di Mario. Forse perchè credo nella libertà e nel valore incalcolabile e incancellabile dei gesti. Come quello di aprire le porte di quei lager che allora si chiamavano manicomi. A volte anche cancellare qualche cosa ti fa entrare nella storia. Tommasini, Mario, ha cancellato per sempre la parola manicomi. E non è cosa da poco.
Sono passati cinque anni da quando Tommasini, Mario, ci ha lasciati. Ma la sua lezione è ancora lì, tutta da vivere...
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