Il liberalismo, lungi dall’essere una pratica egoistica – come appare a Tzvetan Todorov, (autore di un recente saggio Les ennemis intimes de la démocratie Ed. Laffont 2012), in cui il brillante storico e saggista franco-bulgaro riprende tutti i luoghi comuni dell’antiliberalismo d’oltralpe – è fautore di una socialità genuina, spontanea e volontaria, che «non getta sull’autorità sociale che uno sguardo diffidente e inquieto, e ricorre al suo poteri solo quando non può farne a meno». La divisione del mondo tra pubblico – lo Stato che si fa carico del bene comune – e privato – gli individui egoistici che pensano solo al proprio ‘particulare’e…a non pagare le tasse – è un parto della fantasia democratica (nel senso rousseauiano e non liberale) ma non corrisponde affatto al mondo che avevano in mente Thomas Jefferson, Benjamin Constant, Alexis de Tocqueville.
La vera alternativa non è tra dirigismo e ‘legge della giungla’ e se la soluzione non sta nell’ingerenza dello stato nell’economia (come riconoscono quanti un tempo vedevano nelle ‘nazionalizzazioni’ il toccasana di tutti i mali generati dalle crisi di produzione) non sta neppure nelle ibride ed equivoche ‘terze vie’ che riescono solo a combinare gli inconvenienti dei vecchi modelli di politica sociale ed economica che si proponevano come alternativi. C’è liberalismo quando, nella società civile, sono all’opera forze di ‘ricomposizione’della conflittualità sociale, riflessi innati cooperativistici che non vivono all’ombra della protezione statale, sentimenti diffusi di solidarietà che possono fondarsi tanto su etiche laiche quanto su etiche religiose (com’è più probabile). Liberalismo non significa l’obbligo di aiutare gli altri imposto dalle autorità e ottenuto forzosamente col prelievo fiscale. Lo Stato, per i seguaci di Kant e di Humboldt, non è il buon brigante della foresta di Sherwood, che toglie ai ricchi per dare ai poveri e da anni ormai sul Welfare State incombe il sospetto di un travaso arbitrario di risorse da alcune categorie sociali ad altre, in base a logiche che, lungi dal realizzare la giustizia e l’eguaglianza, privilegiano i più forti e i meglio organizzati.
Purtroppo, però, la divisione vetero-democratica del mondo tra Stato/altruismo, da un lato, e individui/egoismo, dall’altro, sembra essere diventata ‘senso comune’ sicché il terreno delle relazioni interindividuali si è inaridito e la pianta della solidarietà non viene alimentata da etiche e valori altruistici praticati e apprezzati. Alla sfera pubblica, in questa perversa ‘grande divisione’, compete il potere di riconoscere e far valere i diritti dei cittadini, mentre ai privati si concede soltanto un soccorso caritatevole che finisce per essere parente stretto dell’«elemosina». Si perde di vista, in tal modo, che nella quotidianità possono presentarsi, invece, casi in cui la solidarietà che nasce dai ‘privati’ potrebbe evitare, senza l’intervento delle leggi e delle autorità, tragedie irreparabili.
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Nel video seguente l’autore introduce il tema del libro;
Di seguito una recensione del libro;
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