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La linea del Piave

Creato il 12 luglio 2011 da Zamax

Da qualsiasi parte la si guardi siamo sulla linea del Piave. Sul piano della tenuta del governo e della maggioranza, dei conti pubblici e della credibilità internazionale. Tuttavia questa non è una “buona notizia” per un’opposizione che oltre alla tiritera sulla macelleria sociale e alla spicciola, ossessiva e comoda filosofia legalitaria che la sta distruggendo, non ha nulla da offrire al mercato della politica. Se la linea cede sarà travolta anch’essa. Ma se non cede ad essere travolta dalla “vittoria” sarà solo la sinistra. Se fossimo seri, se avessimo la testa sulle spalle, e non ci perdessimo dietro al folklore moralistico di una narrazione antiberlusconiana che ha sopraffatto anche i grandi giornali del nord, dovremmo prender nota del fatto che è proprio in questi momenti di emergenza, di difficoltà, di nervosismo, accompagnati da mille mugugni e da mille scosse telluriche, che salta fuori la solidità e la bontà del progetto politico berlusconiano, l’unico nel nostro paese, piaccia o non piaccia. Le spinte centrifughe vi sono come imprigionate, e volenti o nolenti gli strappi di ogni giorno ogni giorno tendono a ricomporsi. I buontemponi, cantando diligentemente nel coro, e continuando ad ingannarsi dopo quasi vent’anni, invece di studiarlo, spiegano quest’ostinato ricorso con la compravendita di parlamentari o con la disperata volontà della “casta” destrorsa di sottrarsi, a seconda dei momenti, al giudizio dei giudici o a quello del popolo. E intanto, però, nonostante le mazzate prese quotidianamente la maggioranza tiene, e anzi si rafforza col ritorno a casa un po’ alla volta di molti ex sognatori terzo-polisti. Anche perché il PDL, che doveva morire con Berlusconi, secondo l’opinione compatta della pavida congrega degli opinionisti politici, si sta lentamente e del tutto naturalmente emancipando da quella che in omaggio ai cretini chiamerò la figura del padrone-fondatore. Ma non lo rinnegherà. Solo nelle fantasticherie di Bocchino, o in quelle di liberali che, sempre alla ricerca di una terra promessa, o della bella politica, bivaccano soddisfatti delle loro ragioni ai confini della realtà, e scambiano per particolarmente nauseabondo l’odore regolarmente nauseabondo della politica di tutti i tempi e di tutti i luoghi, vi può essere spazio per una nuova destra fondata sull’abiura del berlusconismo. Il berlusconismo non nacque dal nulla, nacque da una visione coraggiosa e realistica, raccolse un elettorato che la DC aveva abbandonato perché irretita dall’aggressività della sinistra. La proposta di Alfano di una costituente popolare per la costruzione di un “soggetto politico che si ispiri ai valori ai programmi del partito Popolare Europeo” è insieme un passo in avanti, ed un ritorno alla normalità. La fine di una traversata nel deserto ed un nuovo inizio. Non un ritorno alla DC, ma a quello che la DC avrebbe dovuto essere vent’anni dopo Mani Pulite, se non avesse deciso di vivere di luce riflessa e di abortire ogni tentativo di evoluzione almeno dagli anni sessanta. L’immobilismo della DC era asintomatico, tranquillamente accettato, intriso di fatalismo. Costituiva già una resa. L’immobilismo di questa maggioranza ha ancora più l’aspetto di una resistenza agli spiriti animali dello sfascismo, che una vocazione totalitaria a quel magna magna e a quel quieto vivere che accompagna da sempre la politica di chi governa.

Che non basti è pacifico. L’Italia, e l’Occidente, sono solo all’inizio, temo, anzi spero vivamente, di un grandioso processo di riorganizzazione della loro struttura economica. Non trovo corretto nemmeno l’accento sulla “crescita” che oggi ritroviamo infallibilmente in ogni articolo sulla crisi. Si dovrebbe specificare quale tipo di crescita, se lustri e lustri di crescita negli Stati Uniti fondata sui debiti privati e sull’allegro aumento della base monetaria si sono risolti in un disastro. Nella situazione attuale pensare ad una crescita sana, stabile e allo stesso tempo robusta in Italia, in Europa, negli Stati Uniti, o in Giappone, anche attaccandosi al traino delle ruggenti economie dei Barbari, mi sembra un miraggio ingannevole e pericoloso, come pensare di far correre un malato in convalescenza. Meglio una dolorosissima recessione virtuosa che una crescita col trucco. In ogni caso, a causa dell’enorme, ma sempre meno solitario debito pubblico, l’Italia non avrà altra scelta, nel migliore dei casi, che crescere “poco” e virtuosamente per un bel pezzo ancora. La cura dimagrante ci dovrà essere, anche senza un crollo greco. Progressiva e costante. Oggi siamo all’impasse. E’ stato agevole per il ministro Tremonti rispondere alle critiche alla manovra dentro la maggioranza invitando i suoi detrattori a proporre pure modifiche, ma solo a “saldi invariati”. Come a dire: non volete il pizzo sul risparmio? E allora ditemi dove tagliare, e prendetevene, assieme a me, la responsabilità. Tremonti non si può abbattere. Bene o male è diventato il garante della tenuta dei conti pubblici. Tuttavia, se auspicabilmente, ma assai difficilmente, la maggioranza riuscirà ad emendare la manovra nel senso dei tagli e dei risparmi, e non in quello delle tasse più o meno occulte, il superministro dovrà piegarsi. E si piegherà. Sarebbe un primo passo. Epocale.

[pubblicato su Giornalettismo.com]


Filed under: Giornalettismo, Italia Tagged: Democrazia Cristiana, Giulio Tremonti, Silvio Berlusconi

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