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La linea dell’orizzonte non sta mai ferma

Creato il 16 gennaio 2012 da Silvanascricci @silvanascricci

La linea dell’orizzonte non sta mai fermaA me, come a tutti, potrebbe capitare di tutto.

E’, però, fortemente improbabile che mi possa capitare un naufragio.

Mi viene la nausea anche solo a guardare un pontile che si muove.

Ah, ma ci ho provato, eccome se ci ho provato.

Ho giocato alcune partite con le onde e le navi, poi hanno vinto loro per 25 a 0 ed ho deciso di abbandonare la partita.

Il mio primo tentativo risale a parecchi anni fa con l’attraversamento dello stretto di Messina.

Ho ritentato parecchio tempo dopo con l’attraversamento dello stretto di Gibilterra.

Sono stata male come un cane tutte e due le volte, ma avevo dato la colpa al fatto che fossi su di un aliscafo (sebbene il mio caro consorte e la mia adorata figlia sostenessero che il rollio fosse meglio di una ninna nanna per conciliare il sonno, con la ciliegina sulla torta della cucciola che sosteneva di essere cullata dalle onde, ed infatti due minuti dopo ronfava come un ghiro).

Poi mi sono detta sarà il Mediterraneo che è un mare che non mi si confà.

Quindi, temeraria, ho provato sull’oceano Atlantico.

In Canada, per vedere le balene.

Ero pure quasi contenta, finchè siamo stati sul fiume non ho fatto un plissè; mi sono goduta il paessaggio, ho chiaccherato con i passeggeri, ho fatto foto.

Arrivati alla foce del San Lorenzo ho cominciato a sentire un certo aggrovigliamento delle budelle, in mare aperto ero già talmente concentrata nel tentativo di evitare i conati di vomito che non sono riusciuta a vedere una balena che fosse una.

Tenendo conto delle dimensione delle balene e del fatto che ce ne fossero parecchie che ci guazzavano attorno (mi hanno detto…) potete immaginare il mio stato psico-fisico.

Siccome sono una tenace, od incosciente, vedete voi, ho ritentato, sempre sull’oceano Atlantico, in Irlanda alle isole Aran.

E lì, c’è stata la definitva capitolazione.

Ok era una barchetta del menga, ok c’era il mare agitato però ho passato una delle peggiori ore che io ricordi; ho vomitato anche l’anima, avevo la testa che girava come una trottola impazzita,  sbarcata alle Aran non volevo più tornare indietro.

Belle erano anche belle, ma io non volevo più tornare indietro per non rifare quel tratto di mare; ero disposta ad imparare il gaelico in quindici minuti netti e restare a vivere sull’isola; ero disposta a scolarmi Guinnes a tutte le ore e fare la prostituta per mantenermi piuttosto che tornare indietro.

E se proprio avessi, mai, voluto tornare ero disposta a salire su un piper e pilotarlo da sola, mi sarebbe sembrato più sicuro.

Alla fine mi hanno cacciata, di forza, sulla barca.

Ho fatto tutta la traversata fuori, bagnata fradicia dalla pioggia e dalle onde con un vento che tagliava in due cercando, disperatamente, di trovare un punto da fissare che stesse fermo (non credete mai a quelli che vi dicono di fissare la linea dell’orizzonte, mica è vero che sta ferma, si muove pure quella; forse si muove solo per quelli che soffrono il mal di mare, con gli altri, magari, sta immobile, la stronza).

Quanta ragione aveva Gaber: “il mare…il mare, non è che non capisco la sua poesia, è che mi fa vomitare”.



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