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La linea della palma

Creato il 09 ottobre 2014 da Thefreak @TheFreak_ITA

Competenza e conoscenza come anticorpi di legalità. Ne parliamo con Serena Righini, laureata in Pianificazione Territoriale e politiche urbane, membro dell’ufficio tecnico del comune di Merlino.

La linea della palma, preconizzata da Sciascia, è giunta anche al nord. C’è chi lo nega, cosi favorendo il dilagare impunito della criminalità organizzata. C’è chi ne prende atto e fa un protocollo di legalità. Ci spieghi l’iniziativa del comune di Merlino?

Da circa un decennio le relazioni prodotte annualmente dalla DIA in collaborazione con il Ministero dell’Interno, confermate da inchieste ed arresti, denunciano la “mafia dalle scarpe lucide e dei colletti bianchi” che, senza destare clamori con inutili atti di violenza, opera in modo sempre più capillare e diffuso nei circuiti economici dell’hinterland milanese. E oltre. L’esperienza del comune di Merlino nasce dal fatto che negli ultimi anni arresti di esponenti di famiglie mafiose, incendi sospetti in alcune discariche hanno imposto alle istituzioni una seria riflessione circa l’adozione di strumenti per tutelare e difendere il proprio territorio dal rischio di infiltrazioni mafiose. Il primo passo è stato aderire all’associazione Avviso Pubblico, che conta più di 180 soci tra Comuni, Province e Regioni, che con tavoli di confronto porta avanti attività concrete e operative per favorire il radicamento dei valori di legalità nei propri territori. L’Amministrazione Comunale di Merlino ha approvato in Consiglio Comunale un Protocollo di Legalità, che, con riferimento al principio di incentivazione della Legge Regionale n. 12/2005, attribuisce un bonus volumetrico dell’8% ai proponenti di piani attuativi di iniziativa privata che accettano di rendere trasparente e tracciabile la propria composizione societaria, la filiera di sub-appaltatori e fornitori e i relativi flussi finanziari, così come avviene nella normativa vigente per le opere pubbliche. Il Protocollo, allegato al Piano delle Regole del Piano di Governo del Territorio, si propone di promuovere un modello di sviluppo, anche urbanistico, virtuoso e all’insegna della legalità, premiando quegli operatori economici che operano nella legalità e che, a fronte della crisi economica attuale, spesso si trovano nelle condizioni di non poter concorrere con operatori che hanno invece ingenti disponibilità economiche ma garantite da filiere illegali.

Rendere la legalità più conveniente della mafia è la regola d’oro di una buona amministrazione, ma l’offerta deve pur sempre incontrare la domanda. A distanza di anni dal protocollo, puoi dirci quali sono stati i risultati concreti? C’è stata adesione delle imprese?

Il protocollo è stato sottoscritto il 28/03/2012 con il Prefetto di Lodi. Ad oggi, visti i contenuti del Piano urbanistico e la crisi economica, non sono state presentate proposte di intervento di entità tale da poter attivare il protocollo (che vale per piani attuativi e non per i singoli titoli abilitativi).

Negli ultimi vent’anni si è assistito ad un processo di autonomizzazione degli enti locali che ha reso la città specchio delle scelte del comune. Insomma: Comune in cui vai, urbanistica che trovi. Eppure manca una “cultura edilizia”, che privilegi le potenzialità e le specificità dei singoli luoghi. La progettualità dettata dalla sola logica speculativa, pubblica e privata, e non da una sensibilitá civica, ha determinato una produzione edilizia ex lege che sta alimentando il ciclo del cemento degli interessi imprenditoriali e mafiosi. Basti pensare al valore, stimato in oltre 100 miliardi di euro, del mercato degli appalti pubblici in Italia per comprendere la necessità di una regolamentazione più attenta, che non sia affidata a deroghe continue al codice degli appalti o al rilascio, ormai privo di credibilitá, di certificati antimafia. Quali sono gli strumenti di controllo e prevenzione dei cittadini e quali le buone pratiche che le PA dovrebbero adottare?

Sul rapporto urbanistica/mafia occorre una riflessione sul contesto normativo. Dopo la riforma del titolo V, nel 2001, l’urbanistica è diventata materia di competenza concorrente tra stato e regioni. Da qui si è creato un puzzle molto frammentato e variegato di norme regionali. In Lombardia, la legge per il governo del territorio ha portato l’affermarsi di quella che è chiamata “urbanistica contrattata” attraverso strumenti come i piani integrati di intervento con i quali i privati propongono di volta in volta proposte di trasformazioni urbanistiche per parti del territorio, questo è possibile perché lo strumento urbanistico generale è sempre modificabile. Così, però, si è tolto al pubblico non solo la possibilità di controllo dei processi di trasformazione, ma anche la stessa attività di pianificazione è venuta meno, è demandata ai privati in nome della sburocratizzazione e della flessibilità. Questo processo ha generato una deregolamentazione di fatto delle procedure urbanistiche, non ci sono criteri oggettivi in base ai quali vengono valutati i progetti presentati la cui selezione è regolata dalla discrezionalità delle singole amministrazioni comunali. Tutto questo può comportare una scarsa trasparenza nei processi decisionali e laddove ci sono interessi della criminalità organizzata, gli effetti sono dirompenti. Ed è un po’ quello che è successo in Lombardia. È sempre più evidente l’esigenza di elaborare un nuovo approccio alle tematiche del governo del territorio, che superino concetti e strumenti che non sono più in grado di dare le risposte alle nuove domande di pianificazione.

Il decreto Sblocca Italia ignora le trasformazioni e le esigenze sociali. Gli inceneritori qualificati come opere di interesse nazionale strategico, bonifiche da attuare con commissariamenti (e deroghe incontrollate ai piani regolatori), idrocarburi preferiti a forme alternative di energia. I comitati territoriali “clamant in deserto”. Cosa ne pensi?

Il decreto Sblocca Italia, senza addentrarmi nello specifico, credo che sconti ancora una mancanza di visione (e quindi di indirizzo) complessiva per i temi urbanistici, in particolare manca il tentativo di integrare in modo convincente la programmazione infrastrutturale con la pianificazione territoriale complessiva.

A cura di Sabrina Cicala.


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