Si fermano sempre all’inizio della banchina le persone che vogliono suicidarsi.
Il caldo delle mattine d’estate è più efficace della sveglia sul comodino, dopo mezz’ora di girarrosto nel letto, mi alzo e abbandono le lenzuola sudate, primo obiettivo una doccia fresca.
Così arrivo in anticipo alla fermata della metropolitana, scendo le scale come se volessi contare i gradini uno per uno, senza fretta. La banchina è praticamente vuota, magico effetto della settimana di ferragosto.
Soltanto lei è già lì.
“Treno direzione Termini 7 min“
Il tabellone luminoso suggerisce di avere pazienza e allora decido di ascoltare un po’ di musica, per far trascorrere più velocemente il tempo. Infilo gli auricolari e schiaccio play, senza la forza né la voglia di scegliere una canzone. Parte “Meraviglioso” la melodia triste e malinconica di Domenico Modugno.
“Treno direzione Termini 6 min“
La banchina ancora deserta, a parte lei. Indossa una gonna blu a pois che le arriva poco sotto le ginocchia, una di quelle gonne fuori moda che oggi non indosserebbe nessuna ragazza. Lunghi capelli lisci le scendono morbidi dietro alla schiena, donandole una luce di bellezza senza età.
La vedo camminare nervosa in prossimità della linea gialla, tenendo sul palmo della mano un oggetto che non riesco a distinguere. Mi avvicino, spinto da una curiosità innata che mi porto dietro dall’infanzia.
“Treno direzione Termini 4 min”
La banchina sempre deserta, a parte lei, lei che adesso si volta verso di me. Mi guarda come se mi conoscesse, mi sorride e poi, con la tristezza sul volto, torna a fissare i binari.
“Treno direzione Termini 3 min”
Inizio a pensare, ma non vorrei farlo, o perlomeno non vorrei immaginare quello che sto immaginando. Non vorrei essere qui in questo momento. Non dovrei essere qui in questo momento. Inizio ad innervosirmi. Tolgo gli auricolari e spengo il lettore mp3.
“Treno direzione Termini 2 min”
Mi guardo attorno, nessuno, allora cerco di avvicinarmi di più a lei, lentamente. Nel frattempo ha oltrepassato la linea gialla, la sento parlare come se qualcuno le stesse accanto, ma accanto a lei non c’è nessuno. Di colpo riconosco l’oggetto che tiene sul palmo della mano. È una macchinina giocattolo, una di quelle piccole macchinine con cui ho giocato tante volte quando ero bambino.
“Treno direzione Termini 1 min”
Nel buio della galleria vedo comparire i fari della locomotiva, mentre la ragazza si volta verso di me, mi guarda e sorride.
Vedendola così da vicino, mi ricordo di una fotografia in bianco e nero che ritraeva mia madre da giovane, prima ancora che io nascessi.
Mi accorgo della somiglianza e resto immobile, senza parole.
Lei si abbassa ed appoggia la macchinina a terra, proprio sopra la linea gialla. La maledetta linea gialla.
Sento lo sferragliare dei vagoni sulle rotaie, e la paura è sempre più forte.
In un istante trovo il coraggio che non credevo di possedere e mi getto su di lei, voglio afferrarla, prenderla per un braccio ed allontanarla via di lì, prima che sia troppo tardi. Ma la mia mano scivola nel vuoto, attraverso la sua, intangibile. Non riesco a capire. La ragazza si gira di nuovo verso di me, e il suo volto inizia a cambiare forma. E’ diventato il mio volto. Il tempo di un battito di ciglia e la ragazza non c’è più, al suo posto ci sono io. Un altro me, proprio davanti ai miei occhi. Riesco a vedermi come non ho mai fatto prima, come avrei dovuto fare prima. Inizio a ricordare, a capire.
In piedi sulla banchina, fermo dietro la linea gialla, assisto come uno spettatore al mio suicidio. Vedo il mio corpo cadere sulle rotaie, e il rumore assordante della locomotiva in frenata mi entra nella testa.
La locomotiva si ferma e le porte di un vagone si aprono proprio davanti a me. Senza rendermene conto salgo, spinto da una forza che non avevo mai sentito e le porte si richiudono dietro le mie spalle.
La locomotiva riparte. Guardo fuori dal finestrino e adesso, finalmente, la riconosco. Sopra la linea gialla c’è la mia macchinina, una piccola macchinina rossa, quella con cui giocavo quando ero bambino.
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