Quante salite e quante discese dovrò percorrere prima di dimenticare. Prima di lasciare il passato in un angolo, metabolizzato, vissuto, finito. Prima che il suo lungo braccio smetta di cingermi le spalle, e la sua grande mano di tirarmi i capelli. Fa caldo dopo otto chilometri, troppe colline, strade sterrate che mettono a dura prova le gambe, il ritmo del respiro, il metronomo del battito cardiaco.
Prendiamo un caffè in quel bar, andiamo, amore. Rilassiamoci cinque minuti. Fuori c'è il 25 Aprile: una corona commemorativa, gli alpini, il sindaco, i carabinieri. Io vado. Il cinema di fronte si chiama "Garibaldi", c'è stato Sami Modiano una decina di giorni fa, mi dice il vicesindaco. Un cinema che è anche un circolo culturale, che è anche un punto di ritrovo dove svolgere dibattiti politici, che è un cinema come quelli di una volta. Però vendono solo popcorn e bibite biologiche. C'è stato Sami Modiano, penso. Ma sa, io lo conosco, ho letto il suo libro. L'oggetto più importante per i detenuti nei campi di concentramento era il cucchiaio. Apriamo tutti i giorni il cassetto per prendere uno, uno tra tanti, tra gli infiniti cucchiai della nostra casa. Il primo strumento della nostra vita, così sottovalutato. Diamolo pure per scontato, ma non lo è. Detesto chi dà per scontato. Io non lo sono, oggi, domani, ieri, ero diversa, sarò diversa, sono già diversa. Le attenzioni si riducono, si allentano, ed io me ne vado, in punta di piedi, d'improvviso, senza sbattere la porta, senza respirare. Non sono scontata. Non lo dovrebbe essere neanche un cucchiaio.
Sami Modiano ha ancora il tatuaggio del numero di Auschwitz. Non è un simbolo, non è una frase d'amore, non è un gatto, una farfalla o un delfino. È un numero, il suo.
Mamma, chi sono quelli con la bandiera rossa? Sono del partito comunista. Sono tre, anzi quattro. Sono in disparte, ma ci sono. Parlano di un inceneritore, ma no, è una centrale a biomasse!, mi dice il sindaco. Produrrà pellet, c'è polemica. Si sono aperti dibattiti al cinema Garibaldi. È intervenuto persino un ingegnere che si occupa solo di centrali a biomasse, per tranquillizzare l'opinione pubblica. Un signore con la tromba suona il silenzio. La corona viene deposta ai piedi di una lapide che ricorda i caduti della seconda guerra. Il sindaco fa un discorso nel quale include esodati ed Europa. C'è un applauso, la benedizione del parroco. L'aria calma e serafica di un giorno di festa, di commemorazione, tranquillo, senza coriandoli o fuochi d'artificio. Un giorno consapevole, senza orpelli. Un giorno austero. Adesso vado sulla Linea Gotica, a commemorare i soldati caduti. Inglesi, americani, italiani, tedeschi. Non importa più, forse non è mai importato a nessuno. I morti sono persone, non passaporti, la nazionalità non deve contare. Moriva un americano, moriva un partigiano, un tedesco. Morivano. Muoiono. Ed io che nazionalità ho?
Alla fine della salita c'è una quercia. È bellissima, la raggiungo. Quando l'avrò toccata il primo obiettivo sarà raggiunto, ed io avrò dimenticato un pezzettino del ricordo che non voglio più vivere. Ce n'è un'altra, la vedo, dietro a quella collina. Adesso accelero, è il mio secondo obiettivo. Ne troverò un terzo, ed un quarto, un quinto, sesto, settimo, ottavo, un ventesimo. Ma alla fine ce la farò. Ed io che nazionalità ho?
Tra tutti Yves Montand era il più bello. Ma che gusti hai? Mi chiede la mia amica. Quelli di trovare la bellezza nelle storie dipinte sulle facce. Ivo Livi era di Monsummano Terme in provincia di Pistoia. Lo sapevi? Traspare dalla faccia pure questo. Il senso di appartenenza sta dentro i segni nel volto. Dentro le rughe. Certo, dentro le pieghe sulla fronte. I suoi genitori scapparono dal fascismo ed andarono a Marsiglia. Pochi sanno, ma Yves, anzi, Ivo da giovane aveva l'accento marsigliese. Com'è? È meridionale, con la o aperta, ad esempio un marsigliese dirà c'est la rose aprendo la o, un parigino la stessa o la chiude. Ma allora come in Italia! Ivo monta! Gli diceva la mamma quando lo chiamava su dal cortile, così è venuto fuori Yves Montand, uno degli uomini più affascinanti del secolo scorso e di quello che ancora deve finire. Quando Ivo canta io dimentico non solo il passato, ma anche il presente. Non penso neanche al futuro. Penso alle corde vocali del cuore, lui le aveva là. Perché vedi, amica mia, c'è differenza tra fare una cosa per capacità, dote, e farla grazie al cuore e all'anima. Lui non era dotato, era anima e basta. Il cuore spinge sulla dote, diventa capacità. Fatico a pensare possa esistere il contrario.
L'ultima salita non so dove sarà, spero tra le colline della Linea Gotica.
Spero di tornarci presto.
Ed io che nazionalità ho, Ivo?