“Imparate una nuova lingua e avrete una nuova anima.” Proverbio Ceco
La lingua inglese è diventato ormai il mezzo fondamentale per comunicare con ogni parte del mondo ed è per questo motivo che nascono ovunque corsi di lingue straniere, più o meno validi, ai quali partecipano un sempre maggior numero di persone che desiderano conoscerle per poter spostarsi oltre confine.
Sì, il viaggio è esattamente il principale movente di coloro che si iscrivono ad un corso di lingua inglese: in tanti si accorgono che all’estero è indispensabile avere almeno le basi di una lingua che non sia l’italiano per poter comunicare le proprie esigenze basilari e per evitare gli imbarazzanti tentativi di farsi capire tramite l’utilizza di segni che potrebbero oltretutto essere fraintesi.
Il noto traduttore altoatesino di origine francese François Vaucluse scriveva così: “Perdonate colui che non parla che una lingua: non sa ciò che fa”. Ma la questione è: è meglio imparare una lingua in modo sommario e farci riconoscere ovunque deformando parole e grammatica oppure approfondirla e cercare inoltre di immergersi negli usi ed abitudini della popolazione che la parla?
Considerando che in Italia fino ad una quindicina di anni fa vi era nelle scuole l’obbligo della lingua francese, mentre l’inglese si aveva la fortuna di trovarlo laddove vi fossero degli insegnanti propositivi ed intraprendenti, capiamo il motivo per il quale milioni di italiani non pronunciano una parola di lingua inglese. Tanto che fino a qualche anno fa non era inusuale assistere, anche all’università, a studenti che seguivano i corsi di inglese per principianti e non comprendessero neppure cosa significasse il saluto iniziale dei docenti, un semplice “Good morning” o un “Hello”.
Tuttavia il discorso sarebbe troppo lungo perciò ho trovato utile soffermarmi sull’uso che gli inglesi fanno di due termini di cortesia che gli italiani troppo spesso dimenticano anche nella loro lingua madre: Thank you e Please.
Se infatti in Italia i più sono abituati ad utilizzare il “grazie” per una richiesta, nel Regno Unito, ma non solo, ritroviamo questo uso anche nella lingua tedesca, il termine corretto è “please”, ossia “per favore”.
Pensiamo ad una situazione comune a tanti: ci si reca al bar per un caffè, il barista ci chiede cosa desideriamo e rispondiamo “un caffè, grazie”. Il barista ci porterà il caffè, ma se ci trovassimo in Inghilterra le cose sarebbero differenti e il servizio potrebbe non essere cordiale quanto ci aspetteremmo.
O pensiamo a quando andiamo dal panettiere: ci rechiamo a prendere lì il pane quotidianamente, perciò ci verrà chiesto se desideriamo il solito e la nostra risposta sarà “sì, grazie”. Ma in inglese la risposta sarebbe categoricamente “yes, please”. Senza dimenticare il “thank you” una volta serviti.
In inglese le due parole da non dimenticare mai e che possono, e devono, essere ripetute all’infinito, sono proprio ‘please’ e ‘thank you’. Possiamo permetterci di commettere errori grammaticali di diverso tipo (senza esagerare, naturalmente) ma scordare di usare le due paroline magiche è un errore imperdonabile che ci metterebbe immediatamente in cattiva luce.
Il problema nasce nelle scuole nel momento in cui gli insegnanti minimizzano l’importanza di imprimere nella mente degli studenti, fin da piccolissimi, l’importanza di questi due termini, facendo loro comprendere che non sempre, anzi quasi mai, tradurre letteralmente dalla madrelingua ad una lingua straniera è corretto.
Correlato a questo uso abituale dei due termini vi è poi il discorso di politeness, l’educazione, fondamentale in ogni cultura. Se in italiano si può soprassedere sul mancato utilizzo del ‘grazie’ e del ‘per favore’ questo non può avvenire nelle altre lingue.
Sta perciò a noi decidere quale immagine dare ai nostri interlocutori. E naturalmente non dimentichiamo che per poter studiare in modo adeguato una lingua straniera è necessario primariamente avere una buona conoscenza della nostra e ricordiamo che, nonostante le contaminazioni delle lingue straniere, ogni lingua conserva i suoi termini, seppure spesso questi si perdano nell’oblio.
“Una lingua che non si evolve e rifiuta ogni apporto esterno, è una lingua morta. Ma se si evolve e cambia troppo rapidamente, accettando dall’estero tutto, brillanti e spazzatura, rischia di perdere la sua individualità, e di morire per altra via.” (Cesare Marchi)
Written by Rebecca Mais