A pensarci bene io è una vita che faccio regali per battesimi, comunioni, cresime, fidanzamenti, promesse di matrimonio, sposalizi, nuove case, nuovi lavori, anniversari, divorzi e tanto altro. Senza contare quelli per compleanni e onomastici che non sia mai detto passino inosservati qui al sud.
Non mi sono fatta proprio i conti in tasca, ma certo mi è balzata agli occhi una considerazione poco piacevole: Io sto pagando per le scelte di vita degli altri. E per la mia scelta di vita?
Sposarsi o restare single, avere o meno bambini, non sempre è frutto di scelte consapevoli. A volte dipende dal caso. Altre dalla natura. Altre ancora dalle convenzioni sociali. E una parte, certamente, anche dalla volontà dei singoli. Sebbene non abbia mai trovato una risposta convincente al mio stato di singletudine, sta di fatto che questa, ormai, è la vita che sto vivendo e che, consapevolmente o meno, ho scelto di fare.
Solo che per me non c'è nessun momento celebrativo, nessuna data da cerchiare sul calendario, nessun invito a condividere questa tappa fondamentale con i miei amici e la mia famiglia. Per me c'è solo una non considerazione, come se essere single e vivere da soli non fosse uno stile di vita, ma un momento di attesa, un'anticamera verso qualcosa che deve venire dopo, un'incompiutezza innaturale.
Non è il mancato regalo che mi deprime. Né l'assenza di una celebrazione. Mi infastidisce, piuttosto, che le persone declassino questa condizione di vita a un mancato traguardo, mancando di rispetto a tutto il lavoro che un single deve fare per cercare il suo equilibrio.
E' una scelta quotidiana che non può riassumersi in un momento in chiesa o in comune.
E' una sfida continua contro le proprie paure. E' un'analisi approfondita e mai completa sulle differenze tra solitudine e status single. E' uno sforzo quotidiano al non rinunciare a se stessi cedendo alle lusinghe delle convenzioni o, peggio, all'inquietudine e alla malinconia. E' un esercizio senza fine al "buon viso al cattivo gioco". E' una pratica estenuante alle risposte di circostanza a chi ti chiede "come mai sei single" o "perché non fai un figlio". E' una lotta impari contro le proprie stesse pulsioni. E' un lavoro certosino per bilanciare insicurezze e tribunali della ragione. E' una guerra epica contro giudizi di ogni sorta e giudici di ogni tipo (in primis se stessi). E' un combattimento ferale per respingere dignitosamente sguardi di compassione o di bonario compatimento.
Ed è una fatica di Sisifo perché il giorno dopo si ricomincia daccapo.
Per me - che una vita coniugale l'ho vissuta - risulta molto più faticoso del matrimonio. Perché lì, almeno, si è in due. Magari non sempre e non come si vorrebbe. Ma, di certo, tutte le volte che serve. E ogni volta che un problema davvero importante si presenta alla porta, la coppia può sempre accantonare per un momento le divergenze e fare quadrato, serrare i ranghi per affrontare il pericolo insieme e condividere il peso delle battaglie.
Il single non ha scelta. Deve combattere le sue battaglie da solo. E paga sempre il doppio per avere la metà.
Un esempio terra terra? Qualsiasi tassa che contempli non il numero dei componenti il nucleo familiare, ma altri parametri (rifiuti, depuratori, canoni telefonici e televisivi ecc...), i supplementi per i viaggi (si paga quanto una famiglia di quattro persone con bambini piccoli, ma si riceve in cambio sempre la camera più brutta) e i regali di cui sopra (si versa la quota a nucleo familiare che tu sia single o abbia prolificato come un coniglio).
Quello che mi atterrisce è che i single comprendono le difficoltà dei coniugati, capiscono le spese enormi per i figli, sono solidali e pagano le tasse per programmi socio-assistenziali in cui il loro status non è mai contemplato (io ho perso il lavoro e ho un mutuo sulle spalle, ma per lo Stato sono invisibile e fondamentalmente ricca per una casa che in realtà non posseggo ancora del tutto). Ma tale cortesia non ci è mai ricambiata. Non siamo allo stesso livello dei nuclei familiari. Che sia stata una nostra scelta o meno, nell'immaginario collettivo la nostra è una condizione da fantasmi, da gente in sala d'attesa, da vita sprecata. Quando ci va bene, da eterni Peter Pan o da fortunati viaggiatori senza obblighi e legami.
E allora nessuna festa, nessuna celebrazione, nessun momento topico. E nessun regalo.
Anzi no, forse un regalo lo vorremmo.
E allora ecco la mia lista di non nozze:
- Un completo di considerazione diversa e più dignitosa
- Un servizio completo di assenza di giudizio
- Una coppia di bauli in cui chiudere per sempre le domande su figli e mariti
- Un set di immedesimazione nelle difficoltà altrui
- Una fornitura a vita di bianchetto per cancellare consigli indesiderati
- Un misuratore di cazzate sui motivi della mia singletudine
- Una borsa (c'entra sempre, perché na vado matta)
- Una bilancia di precisione per misurare i propri e gli altrui problemi
- Un taccuino su cui annotare argomenti di conversazione diversi da pupù dei figli e mariti/mogli di cui lamentarsi
- Un amuleto antisfiga da utilizzare ogni volta che mi dicono "Beata te!"
E nessun banchetto, ma una serata tra chiacchiere e vino rosso, perché fa diventare più ricettivi.
Siete tutti invitati.
Io sono single. E sono anche la mia famiglia. Articolo originale di Federica Rossi per Poco sex e niente city. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso dell’autrice.