Non so se l’eurodeputata forzaitaliota Lara Comi (la più giovane eurodeputata d’Italia, recitano le didascalie) abbia visto Porta a Porta, martedì scorso. Io no, ma ne ho beccato uno stralcio in quella formidabile vivisezione dell’idiozia televisiva che è Blob, precisamente nella striscia del giorno successivo, mercoledì 20 novembre. In questo spezzone, Bruno Vespa si è dimostrato, al cospetto della baby parlamentare europea, un vero fuoriclasse in quello che è uno sport intellettuale dell’italiota benestante: l’inflessibile logica del culo caldo. L’imenottero d’Italia con la più elevata densità di vezzosi e pelosetti punti sul volto si è spinto molto più in là della Comi, nel sottolineare la mancanza di educazione civico-logistica di quei poveri cristi che hanno trovato la morte nei seminterrati (da loro chiamati scantinati, e già da questo si capisce il motivo della colossale minchiata che hanno detto). Il più allisciato dei pungiglioni catodici non solo ha sottolineato l’idiozia trogloditica, quasi alludendo ad una lombrosiana attitudine dei sardi, ma ha aggiunto che, dato il comportamento privo di buon senso, un po’ se l’erano andata a cercare una così tragica sorte. Di più: il ronzante giornalaio ha sommato alla supposta idiozia delle vittime, quella di quei pastori che si preoccupano delle loro pecore, mentre sta venendo giù il cielo ed Eolo sbuffa da tutti gli orifizi.
C’è da capirli, questi tristi epigoni del compianto Massimo Catalano: nel loro bel mondo, un ambiente semisotterraneo non è fatto per vivere il quotidiano, ma per tenerci il buon vino, il biliardo mai usato o al limite, come insegna l’azionista di maggioranza delle loro coscienze, per attrezzarlo a sala del Bunga-bunga. E’ fuori dalla portata della loro sofisticata logica del culo caldo concepire che una famiglia di disgraziati brasiliani sia costretta ad affittare un seminterrato, non potendosi permettere un attico; e che per loro l’alternativa fosse di stare all’aperto, nel bel mezzo del ciclone. E’ fuori dalla loro logica che, nelle comuni abitazioni, ogni metro quadro necessiti di essere ottimizzato e che una persona anziana, magari disabile, possa non avere i riflessi pronti davanti a un’improvvisa ondata di piena. Come è fuori dallo loro portata pensare che un pastore, che venti o trenta anni fa con il suo gregge faceva laureare i figli, oggi vive nell’angoscia di perdere anche l’unico mezzo di sostentamento. E questo a causa di quella filiera perversa e strozzina che fa arrivare i formaggi prelibati (che i cari abruzzesi del dottor Vespa non saranno mai in grado di imitare) in Italia e nel mondo.
Piuttosto, i due illuminati analisti delle catastrofi avrebbero potuto chiedersi come mai, di fronte a un evento così devastante che ha colpito, direttamente o indirettamente, quasi la metà della Sardegna (un territorio più grande della Liguria), le vittime siano state relativamente poche. La risposta gliela posso dare io: i sardi, nonostante la massificazione disumanizzante dei nostri tempi, alla quale non sono affatto immuni, hanno dimostrato ancora una volta di essere tra i pochi occidentali capaci di dare del tu alla terra; e non intendo solo alla terra agricola, ma a tutta. Hanno dimostrato di saper ascoltare la natura, di saperne cogliere i segnali. La loro unica responsabilità è rappresentata dall’allergia alle regole, dal seguire millenari usi consuetudinari, non più adattabili ad un territorio asfaltato e cementificato, piuttosto che la moderna cultura della salvaguardia. Questa loro idiosincrasia è stata cavalcata cinicamente da certa classe politica e imprenditoriale che nell’azionista di maggioranza delle coscienze col culo caldo ha trovato il suo più formidabile campione.