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La lunga lettera di Jeanne a Edmund (+ recensione)

Da Eucuri

Ho incontrato Jeanne l’altra sera. Parlavamo del più e del meno. Di lei ed Edmund. Che sono sia il più che il meno. Le dissi che era stato un peccato si fosse persa la sua lunghissima lettera per colpa della pozzanghera. Lei si fermò. Posò il bicchiere e rimase in silenzio. Dopo qualche minuto, si versò del vino – aveva la gola secca dai ricordi. Tirò fuori dalla sua borsetta un pc un po’ malmesso. Lo accese e cliccò su una cartella “Past times”. Ci cliccò ancora, e vidi un file con il nome di Edmund. Era la sua lettera. Accanto, un altro file che portava la data di qualche settimana dopo. Era la risposta di Jeanne, che non aveva mai inviato. Cliccò due volte e me la lasciò leggere. (Questo post fa seguito a “La lunga lettera di Edmund”. Per il rapporto epistolare completo: Lettere di Edmund I II III Finale ; Jeanne I II)

Edmund, devo chiederti scusa.
Solitamente non mi comporto così. In realtà non ho perso la memoria del mio computer quando è caduto in acqua, nè ho perso la memoria dei giorni trascorsi assieme.
Ho iniziato a scriverti qualcosa, ma mi sono fermata subito dopo perché l’ho trovata così stupida, piena di cliché.
E ho smesso di scriverti. Era troppo. Troppo per me.
Avrei voluto dirti quanto fremevo nell’aspettarti all’uscita dell’aula, quanto mi batteva il cuore nel vedere la tua sagoma avvicinarsi e diventare sempre più grande nel mio sistema sentimentale interiore. Avrei voluto che capissi il mio sguardo quella sera. Avrei voluto che mi spostassi i capelli quando li lasciavo di proposito davanti agli occhi. Avrei voluto tenerti stretto a me quando sei sceso dal treno, sapendo che eri andato nella mia città al momento sbagliato. Ti ho tenuto stretto, non so per quanto – cinque secondi e tre decimi – ma volevo di più.
Avrei voluto vederti sorridere sempre, anche quando sentivo il tuo imbarazzo insinuarsi nei nostri respiri. Quando mi mettevo il pigiama, e tu delicatamente giravi lo sguardo verso il muro vuoto della stanza che sono sicura dipingevi con colori d’amore e desiderio. La brezza dell’incertezza che soffiava sulla nostra pelle e rendeva tutto straordinario. Perché eravamo straordinari.
Avrei voluto tutto questo. Lo straordinario.
Ma ho preferito il silenzio.
E ho smesso di scriverti. Era troppo. Troppo per essere vero. Ed era troppa la paura.
Sorrido amaramente pensando che la tua paura di perdere la nostra amicizia era la mia stessa. Ed è stato quello che ci ha fatto perdere davvero.
Ora mi ritrovo con le tue parole su questo schermo, che credi di aver perso, mentre io raccolgo frasi sconnesse dal mio cassetto di pensieri infranti e teorie.
Perché ho preferito il silenzio.
Perché anche tu hai preferito il silenzio.
Uno straordinario silenzio, per una storia straordinaria che vivremo ciascuno nel proprio cuore.

PS Date uno sguardo qui, c’è una recensione del libro :) Recensione “Dodicirighe”

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