La lunga marcia verso la Green Card/3: Grande è la confusione sotto il cielo
Da Silviapare
Dopo la “cattura” dei dati biometrici (che ho raccontato qui) mi sono rimessa in attesa del famoso advance parole, ovvero il permesso di viaggio con il quale sarei potuta tornare in Italia. Secondo le statistiche ufficiali, in California il permesso di viaggio/permesso di lavoro viene rilasciato dopo circa tre mesi dall’inizio delle procedure per la richiesta della green card. Nel mio caso, quindi, sarebbe dovuto arrivare verso l’inizio di giugno. L’avvocato ci aveva avvisati (l’unico caso, finora, in cui ha dimostrato di sapere qualcosa) che era in corso una riforma della procedura, e che questo avrebbe potuto comportare un’accelerazione come anche un rallentamento nel disbrigo della mia pratica. Quale delle due, non gli era possibile saperlo (che strano).Fatto sta che mercoledì scorso, meno di una settimana prima della partenza per New York (dove rimarrò dal 9 al 16 maggio), ho ricevuto per posta (niente raccomandate, tanto qui le poste funzionano) la convocazione per la famosa e temutissima interview (data: 3 giugno). Chi di voi ha visto il film Green Card (tutti tranne me, a quanto pare, e non ho certo intenzione di vederlo adesso) sa di cosa sto parlando. Quell’agghiacciante interrogatorio di coppia in cui l’Officer ti può chiedere di tutto, dal nome della nonna paterna di tuo marito alla marca delle sue mutande (del marito, ma se gli gira, perché no, anche della nonna), per poi decidere insindacabilmente (anzi, no, se la prima interview va male te ne fissano una seconda: qui c’è la lista delle centinaia di possibili domande di approfondimento per chi viene rimandato) se il vostro è un matrimonio vero oppure una truffa. Ora, in teoria, secondo la procedura standard, le cose sarebbero dovute andare così: 1) avvio della procedura; 2) ricevimento del permesso di viaggio/lavoro dopo tre mesi; 3) convocazione per l’interview dopo circa un anno dall’inizio della procedura. Invece a quanto pare è cambiato tutto, ed ecco che la convocazione per l’interview mi arriva dopo due mesi, addirittura prima del permesso di viaggio! Confusione totale. L’avvocato ovviamente cade dalle nuvole e dice che dev’essere per via di questa nuova procedura, e che adesso probabilmente il buon vecchio advance parole non lo riceverò neppure. Quello che devo fare, secondo lui, è presentarmi all’interview, superarla e farmi mettere un timbro che mi permetterà di viaggiare da quel momento stesso. Unico problema: se non passo l’interview al primo colpo e devo ripresentarmi una seconda volta, rimango di nuovo bloccata. Tutto questo, dicevo, è successo mercoledì. Venerdì pomeriggio ho ricevuto per posta l’advance parole. Ora, non starò a spiegare la miriade di contrattempi a catena che tutti questi eventi inaspettati mi stanno provocando. Mi limiterò a dire che, fra tutte le possibilità prese in considerazione mentre tentavo di prendere una decisione alla cieca riguardo al mio incerto futuro prossimo, c’è stata per un momento anche quella di rimandare la terrificante interview. “It’s not a big deal”, diceva l’ineffabile avvocato: non è un problema, si può fare benissimo. Io, che ormai mi fido dell’avvocato come delle poste italiane, ovviamente sono andata a controllare. Ebbene, su internet si trova non solo una sfilza di forum giuridici che sconsigliano tassativamente di rimandare l’interview, ma anche un bel documento ufficiale del Department of Homeland Security che spiega che il richiedente deve dimostrare di avere una “good cause” per volerla rimandare. Insomma, cosa potrei raccontare all’Officer? Che ho nostalgia della mamma? E all’avvocato, soprattutto. Cosa gli dico, all’avvocato?
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