È appena uscito in libreria, per le Edizioni di storia e studi sociali, La mafia e lo Stato. L’organizzazione criminale e la politica dalla prima alla seconda Repubblica, di Emanuele Macaluso: un lavoro di analisi che mira a decodificare la realtà del potere criminale e, in particolare, le relazioni che questo potere ha stabilito con i poteri ufficiali dello Stato. Si tratta di una disamina minuziosa, ricca di spunti analitici, ancorandosi peraltro alla migliore letteratura sociologica e politica sul fenomeno mafioso, da Leopoldo Franchetti a Gaetano Mosca, passando per Napoleone Colajanni. In questo testo il dirigente storico della sinistra italiana ripercorre decenni di storia, dagli anni difficili e violenti del feudo, nell’immediato dopoguerra, quando l’organizzazione criminale si scagliava contro il movimento contadino che rivendicava la terra in attuazione del decreto Gullo, fino al presente, che vede all’opera una mafia quasi impercettibile ma non meno profonda, in grado di muoversi con disinvoltura nel mondo dei grandi appalti e degli affari finanziari, nazionali e internazionali.
Focalizzando l’evoluzione degli interessi politico-criminali negli anni della seconda Repubblica, Macaluso interviene sulle questioni che più hanno acceso la discussione politica degli ultimi decenni: dal caso Andreotti a quello, attualmente molto seguito dai media, della«trattativa» che secondo alcuni magistrati sarebbe corsa tra Stato e mafia allo snodo del 1992-1993. L’analisi del dirigente del Pci, che si è trovato a fare i conti con i poteri criminali da linee particolarmente esposte, si associa quindi alla narrazione di un osservatore attento, che non ha remore a sostenere tesi scomode, si direbbe oggi «politicamente scorrette».
Alla fine di questo percorso, che fotografa uno dei lati più ambigui della vicenda italiana, il bilancio è problematico. La soddisfazione per i risultati ottenuti dal paese legale, del tutto evidenti, si somma infatti alla presa d’atto delle oscurità del presente, in particolare sul piano della politica. Osserva Macaluso: «Oggi … tutto è cambiato. Gli uomini della mafia vincente di allora, quella dei Bontade, sono stati uccisi dai “corleonesi” di Totò Riina, gran parte dei quali è in carcere in regime di vigilanza, il 41 bis. Il contributo dato dai mafiosi pentiti, come Buscetta, è stato rilevante anche perché essi hanno distrutto la stessa immagine del mafioso omertoso e hanno utilizzato l’arma del “pentimento” anche per eliminare amici e nemici. Tutto è cambiato anche nei tribunali, dove una generazione di magistrati, sull’esempio di Cesare Terranova, Gaetano Costa e Rocco Chinnici, hanno contribuito, pagando con la vita, in nome della legge, a dare colpi durissimi alla mafia: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino li rappresentano tutti. E con loro anche tanti uomini delle forze dell’ordine: poliziotti, carabinieri; faccio un nome per tutti, il prefetto generale Dalla Chiesa. Tutto è cambiato anche nella politica. Non c’è più il partito di Li Causi e La Torre. Non ci sono più i partiti di cui parlo nel mio saggio: c’è un vuoto politico impressionante».
Giuliana Ruta
Emanuele Macaluso, La mafia e lo Stato. L’organizzazione criminale e la politica dalla prima alla seconda Repubblica, Edizioni di storia e studi sociali, collana “Questioni attuali”, pp. 160, euro 14,00