"Ti prego, Cannibal, non fare il cattivone come al solito!"
La mafia uccide solo d’estate
(Italia 2013)
Regia: Pif
Sceneggiatura: Pif, Michele Astori, Martani
Cast: Pif, Cristiana Capotondi, Alex Bisconti,
Ginevra Antona, Ninni Bruschetta, Barbara Tabita, Claudio Gioé
Genere: democristiano
Se ti piace guarda anche: I cento passi, Il divo, La vita è bella
Il giorno in cui ho discusso la mia tesi in Comunicazione Multimediale e di Massa – corso di laurea specialistica che può sembrare inutile e in effetti lo è – prima di me c’era un ragazzo che ha presentato una tesi sulla mafia. Io ho pensato: “Sono fregato.” Quando uno parla di argomenti importanti, pesanti come la Seconda Guerra Mondiale, l’handicap o appunto la mafia, gli applausi nei suoi confronti sono obbligatori. Il 110 e lode scatta in automatico. Succede un po’ come agli
Oscar. Se ti presenti dimagrito e con una parte da malato terminale, la statuetta te la sei già portata a casa. Il ragazzo con la tesi sulla mafia guarda caso s’è preso il suo 110 e lode. Stupiti?
Io arrivavo subito dopo di lui con una tesi su un argomento un “pochino” più leggero. Ok, diciamo parecchio più cazzaro. Quale? Gli adattamenti cinematografici dei romanzi dello scrittore yuppie Bret Easton Ellis, il violento, estremo e controverso autore di American Psycho e Le regole dell’attrazione. Una tematica leggermente più superficiale, se vogliamo, rispetto alla mafia. Come
Leonardo DiCaprio che ha scelto la parte del discusso cocainomane sessuomane Jordan Belfort in
The Wolf of Wall Street per competere contro il malato di
AIDS portato sul grande schermo da
Matthew McConaughey in
Dallas Buyers Club, una sfida persa in partenza. La mia tesi è stata comunque apprezzata e io mi sono preso una buona votazione, però il 110 e lode è rimasto parecchio lontano, non che la mia media voto ottenuta con gli esami mi consentisse di ottenerlo. Se avessi parlato di un argomento più “pesante”, comunque, il mio voto magari sarebbe stato superiore, chissà. La prossima volta mi sa che parlerò anche io della mafia.
"Scrivi bene, bambino. Un giorno potresti aprire persino un blog..."
"E che minchia, è un blog?"
Perché vi ho raccontato questo?
Perché è ciò che fa Pif di solito. Parte da uno spunto personale, per poi allargarsi ad affrontare un argomento più generale. È questo l’approccio che usa spesso nel suo programma in onda su Mtv Il testimone. Un’ottima docu-trasmissione che ha il merito di presentare senza troppi filtri varie realtà sociali, varie storie di vita vera, andando a toccare argomenti e personaggi parecchio differenti tra loro, passando dal pornodivo agli zingari, dal
culturista ai carcerati.
Per il suo esordio su grande schermo, Pif ha scelto un argomento importante, un argomento pesante: la mafia. Ha fatto la stessa mossa compiuta dal ragazzo che ha discusso la tesi prima di me. Una decisione intelligente, perfetta per prendersi il plauso del pubblico e della critica. Infatti, guarda caso, La mafia uccide solo d’estate è stato parecchio apprezzato al
Torino Film Festival e anche nelle sale si è comportato piuttosto bene. Si tratta di lodi meritate o di lodi forzate?
La mafia uccide solo d’estate è un lavoro di cui è difficile parlare male. Nemmeno io ho intenzione di bocciarlo del tutto. Va però detto che non mi sembra nemmeno una pellicola in grado di far gridare al miracolo, o a uno dei migliori esordi del cinema italiano degli ultimi anni come mi è capitato di sentire. Va bene che, nonostante l’Oscar a
La grande bellezza, la nostra cinematografia non se la passa proprio alla grande, ma questo resta un film apprezzabile, quanto allo stesso tempo tutt’altro che sorprendente. Per chi conosce lo stile di
Pierfrancesco Diliberto alias Pif, e per chi come me l’ha anche sempre apprezzato, questo film non rappresenta niente di nuovo. La mafia uccide solo d’estate non è una puntata allungata de Il testimone, questo no. Diciamo che ne è una specie di versione romanzata. Mancano le interviste, ma non manca la voce narrante fuori campo, tipica del programma di Mtv e pure qui troppo onnipresente. Un marchio di fabbrica che Pif non riesce a scrollarsi di dosso. Per procedere nel suo racconto, il film non può fare a meno della sua voce, le immagini da sole non sono sufficienti. Allo stesso modo, le musichette che fanno da colonna sonora sembrano uscite da una puntata del suo programma, ma sono del tutto prive di un respiro cinematografico.
"Adesso scrivo una bella letterina di protesta. Contro la mafia?
Ma va, contro Pensieri Cannibali!"
La sceneggiatura mostra inoltre presto i suoi limiti. L’idea di base è quella di alternare la vicenda personale del protagonista Arturo, alter ego di Pif, con la cronaca vera di quanto successo a
Palermo tra gli anni ’80 e i primi ’90. Un’idea valida e ben realizzata soprattutto nella prima parte. Solo che, dopo un po’, ci si rende conto che questo è anche l’unico spunto della sceneggiatura e se all’inizio il racconto di formazione sentimentale, politico ed esistenziale condotto con toni infantili è tanto carino e caruccio, nella seconda parte il film non cresce come ci si sarebbe potuti aspettare.
Un limite sta nelle capacità recitative dello stesso Pif. Come sceneggiatore e regista ha ancora ampi, ampissimi margini di miglioramento, ma tutto sommato se la cava. Dietro la macchina da presa convince in particolare l’inserimento dei personaggi di fiction all’interno delle sequenze di repertorio. Come attore invece no, non ci siamo. Pif, nonostante abbia fondamentalmente la parte del se stesso di quando era circa un ventenne, perde il confronto con il giovane Alex Bisconti che interpreta il suo personaggio da bambino. Meglio allora la protagonista femminile, l’innamorata di Pif, una
Cristiana Capotondi che per l’occasione ha messo in un angolino le sue radici romanesche, per sfoggiare un buon accento palermitano miiiiinghia.
"Grande Cannibale che ha apprezzato il mio accento.
E che me ne futt'a mme se ha criticato Pif?"
Lo so che sono il solito cattivone, ma non condivido l’entusiasmo nei confronti di questa troppo acerba e ingenua opera prima. La mafia uccide solo d’estate parte bene, con il personaggio di un bambino strambo fissato con Giulio Andreotti, e finisce così così, con la solita morale buonista di quelle da far felici Fabio Fazio, che non a caso ha chiamato Pif a curare il programma di anteprima dell’ultimo terrificante
Festival di Sanremo.
L’improvvisato regista si è approcciato alla materia mafiosa con tocco leggero e da comedy, non troppo distante da quanto fatto da
Roberto Benigni con i campi di concentramento ne La vita è bella, e il suo film può anche essere visto quasi come una variante romcom de I cento passi, con la non richiesta aggiunta di alcune scenette evitabili, come l’invito a casa dalla Capotondi, degne di un film dei Vanzina. Emergono inoltre dei toni favolistici che a loro modo si fanno apprezzare, che si prendono gli applausi facili. Come una tesi che si porta a casa il 110 e lode dagli accademici. Su Pensieri Cannibali invece il massimo dei voti se lo può sognare, perché la pellicola non riesce a mordere per davvero. È un omaggio sentito e rispettoso nei confronti di chi si è impegnato a combattere la mafia, ma è troppo cariiiiino, innocuo, persino un pochino democristiano nel suo voler piacere a tutti, e gli manca la cattiveria necessaria per dire qualcosa di davvero potente. Per lasciare un segno forte come quello di un’autobomba.