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La magia di San Giovanni

Creato il 22 giugno 2011 da Kalaris @EssereFreelance

La magia di San Giovanni

Uno degli articoli a cui sono maggiormente affezionata. Felice Solstizio d’estate, felice ciclo di San Giovanni a tutti!

Doveva essere ben più affascinante ieri, quando il sole tramontava su distese di campi messi a coltura che correvano ben oltre la linea dell’occhio, illuminando le balle del grano, la terra arata, gli animali storditi dal caldo, gli uomini eccitati dalla festa, accecati dal momento, accompagnati dal fragorio scoppiettante di un ruscello d’argento che andava verso la direzione che Natura gli aveva imposto.
Doveva essere ben più affascinante ieri se ancora oggi resta suggestivo l’attraversamento di quella giornata durante la quale sono più le ore della luce che quelle della notte ad illuminarci, durante la quale la tradizione racconta che sole e luna si siano incontrati, si siamo amati, si siano lasciati.
Doveva essere più affascinante ieri, eppure ancora oggi, a modo nostro, chi più chi meno festeggia. Alcuni chiamano quell’incrocio di forze, di raggi di sole e di frecce di luna Solstizio d’Estate, c’è chi attratto dalla confezione piuttosto che dal contenuto si accontenta di chiamarlo San Giovanni, tutti percepiscono una rottura, una fine, un nuovo inizio.

 

Un ciclo lungo giorni, un ciclo antico, forse il più antico, con residui di agricolo e ricordi d’un culto fallico che solo a tratti si scoprono, ma che fino a ieri dovevano essere ben più espliciti se il 7 gennaio del 1715 il conservatore e bigotto arcivescovo Bernardo de Cariñena, in merito ai festeggiamenti messi in atto per San Giovanni parla di cerimonias escadalosas .
Non festeggia solo la Sardegna, certo che no! Il Solstizio d’Estate è cosa che appartiene a tutti i popoli che abbiano rivolto l’occhio al cielo con un pizzico d’intuito, ma l’isola festeggia a suo modo, grandiosamente, con un’abbondanza di riti e di modi che fanno intendere di quanto fosse importante il Solstizio d’Estate, che lasciano solo immaginare quanto sia stato fortunato Giovanni fatto Santo a prenderne il posto, il ruolo.
E’ l’avventata, passionale, estenuante unione lunga tutta una notte, tanto violenta perché tanto attesa, fra Sole arso di desiderio e Luna pallida d’amore, che dà luogo alla creazione di energie benefiche. Queste si posano come piccole janas, polvere di fata, sulla terra, sulle acque, sulle piante, sui frutti, sugli animali, sugli uomini ma soprattutto sulle erbe.
Quel miracolo è festeggiato, quasi che la notte di passione fra Luna e Sole fosse da accompagnare al suono di falò ed al ritmo di danza. Ma non è solo questione di fuoco, che pure si fa ardere per tutto un giro di luna senza sosta, un tempo c’era chi si impegnava nelle cerimonie lustrative, chi donava le canne ornate di doni, chi attento seguiva lo svolgersi del comparatico e chi silenziosamente andava alla ricerca di erbe fra i boschi, fra i campi fitti di buio, frizzanti di suoni, schiariti dall’opalescente signora.

La magia di San Giovanni

I falò, i fogaronis, sono gli uomini ad accenderli in ogni angolo della Sardegna, durante la vigilia oggi e durante tutte le giornate che fanno parte del ciclo di San Giovanni, ieri. Esattamente mentre il fuoco ardeva, alimentato da lentischio, cisto o asfodelo, due giovani di sesso uguale od opposto, si promettevano amicizia lunga una vita. Si trattava di un rito antico, oggi caduto in disuso, un po’ come le amicizie che condividono un’esistenza intera. Si saltava sul fuoco, condividendo speranze a mano presa, permettendo all’elemento che tutto purifica di sigillare quel patto, quel vincolo che null’altro sarebbe venuto, avrebbe potuto cancellare.
Elemento che caratterizzava il comparatico non era solo il fuoco, che fondeva, amalgamava, mescolava due giovani vite, c’era anche su nénneri, su nénniri, fatto di grano germogliato al buio, esattamente come era in uso per il Giovedì Santo. Una zolla di terra nera e umida con una cresta irta e morbida di grano fresco, d’un verde limonato e brillante. L’abitudine valida grosso modo per tutta l’isola, ben accetta sia nel mondo agricolo, sia nel mondo pastorale, voleva che il comparatico investisse due compaesani di diverso sesso. La donna su un pezzo di corteccia di sughero doveva mettere a germinare del grano e il giorno di San Giovanni questo sarebbe stato trasportato in corteo presso una chiesa dei dintorni e frantumato contro la porta. I due sarebbero diventati goppàis e gommàis de fròris. Nel Campidano i nénniri venivano arricchiti di fiori. A Quartu Sant’Elena nello specifico pare che l’uso del comparatico sia rimasto in vigore fino a qualche anno prima della seconda guerra mondiale. Chi prendeva l’iniziativa inviava un nénniri all’amica scelta che solo nel caso di accettazione avrebbe dovuto restituirlo aggiungendovi un fiore, di norma un garofano.

 

Particolarmente suggestiva era la tradizione de is kànnas frìskas che a Cagliari e nel Campidano tutto si praticava non solamente durante la giornata di San Giovanni, ma anche per il Corpus Domini. Ancora in uso fin dopo la II guerra mondiale, questa tradizione pare ricollegarsi alle ben più antiche processioni cannoforiche romane.
L’uso prevedeva che le canne tagliate presso le rive dei fiumi, lunghe e fresche venissero ornate di fiori, nastri, frutta e portate in processione. Venivano regalate ai ragazzi che le avrebbero portate poi verso proprie case innalzandole festosamente, un po’ come si faceva a Roma in onore di Cibele, Magna Mater, durante la processione dei Cannophori, festeggiata il 15 di marzo. Il ricordo di questa tradizione non è del tutto scomparsa per quanto la sua pratica sia stata abbandonata totalmente. Vero è che ancora nel vecchio mercato centrale di Cagliari, queste venivano vendute dai venditori di kànnas frìskas e in seguito regalate ai più piccoli.
L’oblio è spettato anche a molti dei rituali lustrativi che si tenevano durante la notte di San Giovanni, seppure negli ultimi anni, per una qualche divina giustizia che riconosce l’incalcolabile perdita, si sta verificando un forte e costante recupero di antiche tradizioni, quasi che il riviverle sia confortante per i nuovi praticanti.

I poteri terapeutici delle acque sarde erano, secondo la concezione popolare, incrementati a dismisura dal potente incontro fra luna e sole e dunque chiunque si fosse immerso nelle salmastre acque marine, placide acque di stagno o profumate correnti di fiume, avrebbe avuto come logico effetto quello di superare l’anno in piena salute. Particolarmente affascinante il rituale detto de sas funtanas che alcuni, ogni anno di più, ancora oggi praticano a Bono (SS). La tradizione vuole che la sera del 23 di giugno, vigilia della festa, le donne alla conclusione della messa vespertina si rechino al suono del dodicesimo rintocco delle campane in processione presso la chiesa del santo, per rinnovare il famoso rito dell’acqua della salute. Poco prima della mezzanotte si bussa per tre volte alla porta della chiesa dicendo “Santu Juanne andende semus!” e ci si dirige verso le tre fontane (secondo alcune testimonianze si tratterebbe invece di sette fontane) ad attingere l’acqua che una volta raccolta verrà lasciata sul balcone di casa a selenare. L’origine del termine dialettale indica probabilmente l’abitudine popolare di lasciar riposare sotto l’influsso di Selene, la luna, l’acqua che nel corso dell’anno, satura di influssi benefici, sarà usata per la cura di moltissimi mali.
Molto affascinante anche il rituale de s’abba muda conosciuto in Gallura e anche nel Sassarese. A Bono si ricorda ancora di questo affascinante uso che connette più di un elemento arcaico e mistico. Il rituale tutto al femminile era praticato dalle donne che avevano necessità di ricevere una grazia, e che dunque si votavano al Santo. Queste dovevano andare presso una delle fonti cittadine e riempire d’acqua un recipiente dotato di manico. Avrebbero dovuto in seguito invitare chiunque si incontrava a bere un sorso d’acqua in totale silenzio, fino alla conclusione del liquido reso magico dalle potenti energie che si posavano su ogni cosa durante la notte della vigilia di San Giovanni. Qualora il silenzio fosse stato rotto per l’uno o altro motivo la donna avrebbe gettato l’acqua a terra e il rituale si sarebbe dovuto iniziare da principio.
Elemento femminile, silenzio rituale, la distribuzione religiosa dell’acqua pare riportare indietro nei secoli, quando sacerdotesse antiche distribuivano acque dai poteri terapeutici a chi necessitava, senza bisogno di sprecare troppe parole.

 

Le acque sorgive, le acque di mare o le acque dolci, in questa notte di mezza estate venivano caricate dalla cultura tradizionale di poteri magico terapeutici, per motivi che oggi sfuggono ad una analitica e razionale spiegazione. Meno sfuggente invece la connessione fra San Giovanni e Solstizio d’Estate stabilito in fase di cristianizzazione degli usi isolani. Non è un caso che Giovanni, colui che lava i peccati del mondo (Giovanni 1,29), sia subentrato agli antichi rituali di purificazione che vedevano come protagonista appunto l’acqua. Purificato Gesù tramite immersione nel fiume Giordano, Giovanni avrebbe in seguito lucidato gli animi di tutti i cristiani tramite quello che sarebbe stato detto battesimo. Ecco l’acqua che purifica, l’acqua che guarisce, l’acqua che libera dalle malattie. In Sardegna in fondo la malattia era tradizionalmente considerata una punizione divina alla quale ci si piegava con remissione, ma purificati con l’acqua di S. Giovanni non si sarebbe dovuto temere la collera del cielo per tutto un anno.
Ultima espressione di questa affascinante giornata magica, forse la più accecante e scintillante, profumata e colorata, è quella che si collega alla ricerca di erbe, da effettuarsi durante la lunga e suggestiva notte che separa il 23 dal 24 di giungo. Erbe aromatiche spontanee, fiori, frutti coriacei acquisivano degli squisiti poteri magico terapeutici che si sarebbero conservati per tutto l’anno.
Numerose e appartenenti alle più varie specie, le erbe baciate da quell’influsso benefico e magico sono quelle che già durante tutto l’anno possiedono un certo potere curativo ben noto alla tradizione medica popolare, ma che in quella notte magica vedono esplodere il proprio potenziale. Ad incrementare l’efficacia medica ci pensa il fascino della raccolta notturna, la suggestione della rugiada potente che si forma al primo albeggiare del solstizio d’estate, o piuttosto la massima fioritura che le piante raggiungono proprio durante il ciclo di S. Giovanni, elemento che è evidente, non può essere sfuggito alle antiche conoscitrici del mondo naturale. Raccogliere l’erba durante il periodo di sua massima esplosione, pochi momenti, ore, giorni prima che si verifichi il naturale declino, significa ancora oggi catturare i principi terapeutici in essa contenuti, nel loro massimo e folgorante momento espressivo. Che poi il mistero della cura attraverso le erbe sia stato definito magico, bhe questa è tutta un’altra storia.

La magia di San Giovanni

Elicriso, iperico, lavanda, menta, rosmarino, timo erba barona, verbasco, erano erbe che durante la notte del 23 di giugno acquisivano un potere sorprendente. Venivano raccolte in ogni angolo della Sardegna, rigorosamente dalle mani esperte delle donne, non solamente per i propri poteri medicamentosi. I fiori venivano più semplicemente utilizzati per la preparazione di quella che era definita l’acqua di San Giovanni. Si otteneva molto semplicemente mettendo a mollo per una intera notte queste profumate escrescenze fiorite, figlie delle piante magiche. Chi preparava l’acqua doveva essere preferibilmente a digiuno e pare che l’efficacia di questa fosse più ampia se i fiori posti in ammollo fossero stati in numero dispari. L’acqua l’indomani si sarebbe usata per lavarsi il viso, profumandolo come cosa invitante e preziosa.
In linea generale le erbe non erano comunque raccolte, essiccate, conservate esclusivamente per motivi terapeutici, ma anche perché durante la vigilia di San Giovanni acquisivano la capacità di rivelare pronostici sul futuro matrimoniale delle giovani sarde, o più spesso acquisivano caratteri apotropaici che avrebbero protetto uomini, donne e società tutta da malie, jettature e malocchi. Le erbe per dimostrarsi efficaci non avevano nemmeno necessità d’essere abbrebàdasa, ossia sottoposte alla recita dei brèbus, le parole magiche. A tutto pensava San Giovanni, il sole, la luna, la notte.
Primo fra le erbe e i fiori di S. Giovanni è l’elicriso. Alla pianta sono attribuiti fortissimi poteri scaramantici contro il malocchio di cui può far vanto senza necessità di essere abbrebàda . Detta anche erba di Santa Maria o erba di S. Giovanni, a Nuoro le ragazze erano solite trarre presagi sul proprio futuro matrimonio grazie all’osservazione di questa profumatissima e vellutata erba aromatica, d’un verde opaco e delicato. La sera della vigilia di S. Giovanni le giovani sarde si recavano in campagna e segnavano con un filo, con un nastrino o con una pianta di verbasco l’èrba e sàntu jubànne e al mattino seguente, durante il primo albeggiare ritornavano sul posto e cercavano la propria pianta. A seconda del tipo d’insetto che vi aveva trovato asilo, ricavavano indicazioni sul proprio futuro matrimonio. Nel caso avessero trovato una formica il destino voleva sposassero un contadino laborioso esattamente come quell’esserino, nel caso in cui sulla pianta si fosse posata una mosca oziosa si sarebbero probabilmente sposate con un ricco altrettanto ozioso che viveva di rendita, nel caso di un ape con un apicoltore, nel caso di un bruco con un ortolano, nel caso di una coccinella con un pastore, nel caso di uno scarabeo con un artigiano del ferro, di un ragno con un flebotomo e così via. Se invece nessun insetto si fosse posato sulla pianta per quell’anno non si sarebbero sposate e avrebbero ripetuto il rituale l’anno seguente.
Con l’elicriso si confezionava anche una redzètta, una semplice borsetta o scapolare di panno o tela, all’interno della quale si sarebbero riposte fra le altre cose, foglie essiccate della pianta. Tenendola appesa tutto l’anno al collo, si sarebbe stati al sicuro dalla jettatura. Veniva usato contro le malattie della cute e contro l’itterizia se causata da malia o da barbagianni, e in associazione con altri ingredienti magico terapeutici, veniva usato in forma di suffumigi.

 

Inoltre l’erba di santu jubane veniva bruciata davanti alla porta di casa per mettere in fuga animali indesiderati e in Gallura la si usava per alimentare i fuochi che i futuri kumpàri e kumàri avrebbero dovuto saltare.

La magia di San Giovanni

Ugualmente potente e anch’esso detto erba di S. Giovanni, l’iperico o scaccia diavoli è pianta dotata di fortissimi poteri scaramantici contro il malocchio che si moltiplicano esponenzialmente se raccolta durante la notte del 23 giugno. Lo si poteva appendere alle porte per allontanare il malocchio o essiccato finiva spesso, insieme a granelli di sale e altre piante, dentro la redzètta o punga in qualità di amuleto contro la jettatura. In alcuni altri casi era usato dalle giovani sarde per fine amatorio.
Spesso veniva impiegato anche per ottenere presagi sul futuro matrimoniale, specialmente nel nuorese seguendo la medesima pratica rispettata per l’elicriso. A Tonara invece la pianta la pianta poteva regalare presagi funebri. Si raccoglieva all’alba di S. Giovanni, prima ancora che spuntasse il sole e i rametti venivano appesi in casa. Ad ognuno veniva dato il nome di un abitante della dimora e la persona il cui rametto si sarebbe seccato per primo, per intuizione sarebbe stata la prima a morire.
Nel Logudoro tutto invece la pianta veniva raccolta durante la notte della vigilia di San Giovani Battista con scopi medicinali contro gli strappi muscolari, o le bruciature da sole.

La magia di San Giovanni

Altra pianta che acquista secondo la tradizione poteri magico terapeuti se raccolta la vigilia di San Giovanni è la lavanda. L’acqua di S. Giovanni, detta anche degli odori o dei profumi, alimentata con fiori di lavanda e con l’aggiunta della menta e del basilico, veniva usata a Gonnosfanadiga contro la dermatite, le malattie agli occhi, la scabbia e i dolori ai denti. L’acqua sarebbe stata più efficace se preparata al tocco dell’Ave Maria serale e naturalmente a digiuno.

La magia di San Giovanni

Anche il rosmarino raccolto durante la notte della vigilia di S. Giovanni si dimostra erba aromatica particolarmente efficace contro le malattie causate dall’incontro scontro con ombre o fantasmi. Il malato in quel caso veniva curato da una donna esperta che praticava sa mexì(n)a de s’ùmbra . Il rosmarino era inoltre utilizzato per le cure tramite fumigazioni particolarmente efficaci contro il malocchio e le fatture. Veniva bruciato dalle medichesse in associazione con la ruta, l’issopo, l’incenso e altri elementi ritenuti magici. La pratica è attestata per Orotelli. Era inoltre usato per scopo scaramantico a favore del neonato e della puerpera, o per allontanare sa strige causa della striadùra . Il rosmarino infine costituiva un eccellente combustibile per i falò accesi in occasione di S.Giovanni.
Anche il timo raccolto durante la notte della vigilia del Solstizio d’Estate veniva spesso usato per confezionare l’acqua degli odori e profumi di S. Giovanni. Nel nuorese, quando raccolto all’alba della festa di S. Giovanni Battista, si usava per confezionare amuleti contro il malocchio o per alimentare i falò notturni accessi durante la festa insieme al rosmarino e alla lavanda.
Il verbasco, conosciuto dialettalmente con il nome di trovòdda, se raccolto all’alba del giorno di S. Giovanni era un ottimo amuleto contro malocchio e disgrazie, ecco perché finiva spesso dentro le redzèttas. Questi amuleti lunghi circa 10 cm, caratteristicamente tinti di nero, erano riempiti di valeriana ed erbe varie segnate nella notte della vigilia di San Giovanni, di chicchi di sale e pietruzze. Venivano indossati per tenere lontana la Morte che la tradizione voleva uscisse l’ultima notte dell’anno per colpire le persone che entro l’anno sarebbero morte.
Una tradizione non meno affascinante vuole che la pianta venisse raccolta durante la mezzanotte della vigilia di S. Giovanni dato che fra le sue foglie era solito riposare il diavolo. Questo avrebbe arricchito per tutto l’anno l’audace raccoglitore.
Se la pianta veniva segnata durante la notte della vigilia di San Giovanni, come avveniva per l’elicrisio e l’iperico si sarebbero potuti trarre divertenti presagi matrimoniali.
Particolarmente affascinante e accompagnata da un ricchissimo drappello di tradizioni era la ballariàna, detta anche balariàna, baleriàna, billiriàna, birilliàna, bellaiàna, bellaiànna, che probabilmente a torto è identificata oggi con la valeriana. In Sardegna unica specie autoctona è la valeriana montana, che non corrisponde per diffusione e genere di crescita a quella descritta dalla tradizione isolana. Il fatto che spesso venisse fatta distinzione fra valeriana maschio e valeriana femmina cancella ogni dubbio sulla possibile associazione con la valeriana che noi conosciamo, dato che questa possiede un fiore ermafrodito e risulta dunque essere specie monoica e non dioica, sempre che naturalmente gli aggettivi maschio o femmina non fossero riferiti più semplicemente all’aspetto esteriore della pianta, più o meno scura, più o meno spinosa, cosa che non di rado accadeva.
Quando tradizionalmente si parla di valeriana, probabilmente ci si riferisce ad una pianta diversa a seconda della zona. Alcune ricerche hanno concluso che a Gonnosfanadiga la valeriana era il millefoglio, mentre in altri luoghi era rappresentata dalla salvia sclarea. Si potrebbe comunque trattare della valeriana rossa, naturalizzata in Sardegna e che facilmente cresce sui muri e sulle rupi.
Quale che sia l’identificazione possibile, la ballariàna sull’isola è la pianta magica per eccellenza, forse proprio per questo tanto difficile da rintracciare. Nascosta fra le altre piante e vasi che si possedevano in giardino, era spesso oggetto di furto rituale. La si nascondeva inoltre per paura fosse toccata da qualcuno differente dal proprietario; in quel caso avrebbe perso ogni sua efficacia e virtù. Doveva essere innaffiata settimanalmente con acqua benedetta e a collocarla fra le piante fantasma è soprattutto il fatto che secondo la tradizione questa fiorisse esclusivamente durante la mezzanotte della vigilia di San Giovanni Battista, caratteristica assurda per una pianta reale. (Sempre che non si intendesse che la sua massima fioritura avvenisse esattamente durante il ciclo di San Giovanni).
Era capace di arricchire il suo possessore, di apportare benessere e fortuna visto che fra le sue foglie si nascondeva il diavolo in persona, caratteristica che gli ha valso il nome di èrba ‘e s’eremìgu. La si utilizzava per far innamorare qualcuno, per riconciliare o mettere in disaccordo gli amanti. Si dimostra particolarmente efficace contro il malocchio ed è capace di tener a distanza la Morte. Le sue proprietà curative ovviamente non erano nemmeno da porre in questione. Con la valeriana raccolta durante la notte della vigilia di San Giovanni si confezionavano amuleti che proteggevano i bambini da sas pùppias màlas e dalla jettatura.
Ovviamente per essere efficace si dovevano seguire precisi rituali di raccolta, di furto, nonché un preciso trattamento. Nel caso in cui questa si ottenesse con il furto questo era da intendersi come rituale e magico, ossia tentativo di assicurare per se la fortuna e non teso a nuocere al possessore legittimo. Di norma in cambio della pianta veniva lasciata una moneta in modo da rispettare la magia ed il risarcimento del furto. La pratica è attestata ancora nel primo dopoguerra per il quartiere di Sant’ Avendrace di Cagliari.
Sottrazione illecita o raccolta avvenivano durante la mezzanotte della vigilia di San Giovanni Battista, al buio, con occhi chiusi e mani all’indietro. Era inoltre fondamentale la nudità della raccoglitrice, elemento probabilmente dissuasivo dato che il furto doveva essere perpetrato preferibilmente da una ragazza.
Una volta sottratta, la valeriana veniva battezzata o con aspersione d’acqua benedetta o nascondendola nelle fasce di un bambino durante il battesimo. Si poteva alternativamente fare sulla pianta il segno della croce ripetendo una frase rituale.
Capace di cancellare numerose malattie la valeriana era usata per la cura della pelle, nella cura degli occhi, per fermare emorragie, o alleviare le punture d’insetti. Era inoltre ritenuta utile per avvantaggiare il parto e per questo veniva posta sulla pancia della partoriente.
Si supponeva portasse una sfacciata fortuna, tanto che di una persona particolarmente felice e ricca a Selargius si diceva che tenesse la valeriana in casa (ka tènnit sa birilliàna in dòmu!).
Miracolosa e magica anche la ruta era erba che veniva raccolta durante la notte della vigilia di San Giovanni, i cui fiori non potevano mancare nella preparazione dell’acqua profumata del solstizio d’estate.
La ruta era capace di prevenire ed immunizzare dal malocchio, allontanava gli spiriti cattivi e le streghe, gli spiriti dei morti e preservava dalle tempeste e disgrazie. Il suo potere era tanto ampio che poteva essere usata anche all’opposto, per scopi malefici. Per essere efficace contro s’òra màla cui si poteva andare incontro alle sei del mattino, a mezzogiorno e a mezzanotte o una di notte, era particolarmente efficace l’àlba di rùda che doveva essere raccolta a mezzogiorno del giorno di San Giovanni Battista.
Inghiottire tre semi di ruta all’alba del giorno di S. Giovanni scacciava i diavoli e aiutava a non aver paura degli spiriti e assicurava inoltre salute per tutto l’anno.
Le erbe che durante la notte della vigilia di San Giovanni Battista acquisivano proprietà sorprendenti non si esauriscono certo qui. Il felce maschio ad esempio, che fioriva esattamente come la valeriana solo durante la notte del 24 giugno, portava fortuna, ricchezza e regalava la capacità di fuggire ai proiettili, le bucce delle arance, il lentischio, il frumento, il fico erano usati per ottenere presagi sui futuri matrimoni, l’asfodelo, il sambuco, il frumento, la quercia e le more erano invece capaci di proteggere chi li avesse raccolti durante quella magica notte per tutto un anno.

Doveva essere ben più affascinante ieri quella notte magica, spennellata di mistero iridescente come per il passaggio di lucciola, se ancora oggi ci rimane un ricordo tanto intenso, la voglia tanto dirompente di credere ancora che durante quella notte d’inizio estate tutto possa essere.

di Claudia Zedda

Tratto da Est Antigoriu
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Da Francesco Casula
Inviato il 24 giugno a 07:57

Ecco che cosa scriverà a proposito del “Comparatico di san Giovanni” Alberto Ferrero della Marmora, scrittore, geografo e militare (Torino 1789- ivi 1863) che visiterà la Sardegna, la prima volta nel 1819 e in seguito vi soggiornerà più volte. Egli infatti soggiornò nell’Isola, sebbene non stabilmente, per un arco di quasi quattro decenni, dal 1819 al 1857 “Due persone di sesso diverso, ed in generale coniugate, si scelgono reciprocamente come compare e comare di San Giovanni: l'accordo si conclude presso a poco due mesi prima. Alla fine del mese di Maggio, la futura comare prende un pezzo grande di cor¬teccia di sughero, lo arrotola facendone un vaso, lo riempie di terra e vi semina un pizzico di grano della qualità migliore. S'innaffia, di tanto in tanto la terra con cura e il grano germina rapidamente, sì che in capo ad una ventina di giorni si vede un bel ciuffo detto erme o nènneri. Il giorno di S. Giovanni il compare e la comare prendono que¬sto vaso e, accompagnati da un corteo numeroso, s'incamminano verso una chiesetta dei dintorni. Giunti là, uno dei due getta il vaso contro la porta; poi tutti insieme mangiano una frittata colle erbe: infine ciascuno, mettendo le mani su quelle del suo vicino o della vicina, ripete ad alta voce ed a più riprese, queste parole: compare e comare di S. Gíovanni; si balla per parecchie ore e la festa è fi¬nita”. [passo tratto da Viaggio in Sardegna di Alberto Della Marmora, Gianni Trois editore, Cagliari 1955, Prima Parte, Libro primo, capitolo VII., pagine 207-209] .