Luca Canali è un magnaccia di piccolo cabotaggio, che vive ai margini della malavita organizzata.
Ha una moglie e una figlia, e vive separato dalla moglie che lavora come parrucchiera.
Gli accade di venir individuato, dal potente capo di una cosca mafiosa americana, come l’autore di un audace colpo ai danni della cosca stessa, depredata dei proventi di un traffico di droga per il valore di svariati miliardi di lire.
L’uomo viene quindi braccato dai killer mandatigli contro dalla cosca, ma con abilità riesce a cavarsela, tanto che la cosca americana si affida ad una cosca locale quella comandata da don Vito Tresoldi per tentare di punire l’uomo.
Così inizia un’altra dura battaglia, senza esclusione di colpi; il mafioso fa uccidere la moglie e la figlia di Luca, che da quel momento giura vendetta.
E la compie, sterminando la gang del mafioso e uccidendo i due killer americani mandati dalla cosca statunitense.
Fernando Di Leo, dopo il capolavoro Milano calibro 9, prova a rinverdire i fasti del primo capitolo della trilogia del milieu, a cui appartiene questo La mala ordina ,
Femi Benussi è Nana
Sylva Koscina è Lucia Canali
diretto dal regista pugliese nel 1972, comprendente anche la parte finale, ovvero Il boss e affidando la parte del protagonista a Mario Adorf, già presente nel film precedente.
Lo fa imbastendo un noir ben dosato, in cui azione e ritmo non mancano; memorabile, ad esempio, la lunga sequenza dell’inseguimento di Luca Canali, appeso ad uno sportello di un furgone al guidatore del furgone stesso, chiuso dalla violenta scena in cui Luca sfonda a testate il parabrezza del mezzo.
Forse, rispetto a Milano calibro 9, in La mala ordina c’è meno tensione, la sceneggiatura non è brillantissima e manca il personaggio di spicco di Ugo Piazza, sostituito questa volta da un malvivente di mezza tacca, Luca Canali, piccolo magnaccia che saprà districarsi dai guai in cui involontariamente finirà per cacciarsi; pur tuttavia il mestiere di Di Leo c’è tutto, e si materializza in scene davvero ben congegnate, come il citato inseguimento e sopratutto la parte finale, in cui Luca ha la sua vendetta in un cimitero di auto demolite, in cui uccide i due sicari americani.
Luciana Paluzzi è Eva LalliPunto debole del film sono le interpretazioni; se da un lato c’è un ottimo Adorf, abilissimo nel tratteggiare la figura un pò guascona di Luca Canali, all’opposto troviamo un Henry Silva, nella parte di uno dei due gangster americani, impegnato a mostrare un quantomai inopportuno sorriso smagliante, assolutamente non indicato in un film che ha una forte vocazione noir.
Più aderente al personaggio invece è Woody Strode, legnoso e rigido ma quantomeno più credibile.
Le parti femminili sono affidate alle bellssime Luciana Paluzzi, Femi Benussi e Sylva Koscina; la prima se la cava dignitosamente nei panni dell’interprete dei due gangster, che troverà la morte nel convulso finale; Femi Benussi, un’autentica sicurezza, è al solito perfetta nel suo ruolo, che questa volta è quello di una prostituta amica e protetta di Luca.
Infine c’è Sylva Koscina, brava ma troppo elegante e fine per interpretare la moglie di Luca, il piccolo pappone che non ha certo una laurea o una cultura; la Koscina pur professionale, sembra davvero un elemento estraneo al film, con quella sua aria aristocratica inadatta al ruolo di parrucchiera e moglie di Luca.
Qualche errore di troppo, quindi, mascherato comunque dalla solita professionalità di Di Leo, un vero marchio di fabbrica.
Un film comunque tra i migliori, nel suo genere; non a caso Tarantino lo cita spesso, assieme al resto della trilogia, tra i film che lo hanno impressionato e influenzato maggiormente.
Buone le musiche di Armando Trovajoli; tra le curiosità, la presenza di lara wendel nei panni della figlia di Luca Canali e il doppiaggio di Mario Adorf, affidato al compianto Stefano Satta Flores.
La mala ordina, un film di Fernando Di Leo, con Mario Adorf, Henry Silva, Woody Strode, Adolfo Celi, Luciana Paluzzi, Franco Fabrizi, Femi Benussi, Gianni Macchia, Peter Berling, Francesca Romana Coluzzi, Cyril Cusack, Sylva Koscina, Jessica Dublin, Omero Capanna, Giuseppe Castellano, Giulio Baraghini, Andrea Scotti, Imelde Marani, Gilberto Galimberti, Franca Sciutto, Ulli Lommel, Vittorio Fanfoni, Giuliano Petrelli, Pietro Ceccarelli, Pasquale Fasciano, Alberto Fogliani, Giovanni Cianfriglia, Guerrino,Lina Franchi,Lara Wendel
Mario Adorf … Luca Canali
Henry Silva … Dave Catania
Woody Strode … Frank Webster
Adolfo Celi … Don Vito Tressoldi
Luciana Paluzzi … Eva Lalli
Franco Fabrizi … Enrico Moroni
Femi Benussi … Nana
Gianni Macchia … Nicolo
Peter Berling … Damiano
Francesca Romana Coluzzi … Trini
Cyril Cusack … Corso
Sylva Koscina … Lucia Canali
Jessica Dublin … Miss Kenneth
Omero Capanna … Vito’s Goon
Giuseppe Castellano … Garagaz
Giulio Baraghini … Gustovino
Andrea Scotti … Garo
Gilberto Galimberti … Vito’s Goon
Franca Sciutto … Ballerina
Ulli Lommel … Ballerina
Vittorio Fanfoni … Uomo di don Vito
Giuliano Petrelli … Uomo di don Vito
Pietro Ceccarelli … Uomo di don Vito
Pasquale Fasciano … Uomo di don Vito
Regia: Fernando Di Leo
Sceneggiatura: Fernando Di Leo, Augusto Finocchi
Prodotto da: Armando Novelli .
Musiche: Armando Trovajoli
Effetti speciali: Basilio Patrizi
“Adorfiano ed alterno. Adorf supera se stesso di Milano Calibro 9. Il film no, per snodi di trama assai meno logici rispetto a MC9, che si perdonano perché Adorf è fantastico, la fotografia è un gioiello etc. Si trovano temi presenti nell’opera di Di Leo: le cose che altrove funzionano, pure qui lo fanno egregiamente, mentre ciò che altrove non convince, non convince neppure qui (il mondo giovanile poi ripreso in Avere vent’anni). Inoltre la Dublin non strappa manco un sorriso, analogo risultato del tremendo Colpo in canna.
Tra i migliori esempi di film di genere italiano, ed ottimo esempio di noir, è anche una delle opere migliori di Fernando Di Leo. Girato con grande ritmo non appare mai patinato e artefatto, ma sempre efficacemente realista e spietato, con sequenze d’azione che, sebbene a volte siano un po’ “forzate”, appaiono sempre efficacissime. Ottima la prova del cast (specie del bravo Mario Adorf), così come la colonna sonora.
Il modesto macrò Luca Canali (Adorf) viene utilizzato come capro espiatorio dal padrino Don Vito Tressoldi (Adolfo Celi): a lui è attribuita la mancata consegna di un carico di droga pari a 3 miliardi delle vecchie lire. L’americano Corso (Cyril Cusack), che ha subìto il contraccolpo economico, invia due killer con lo scopo di dare una vistosa lezione al protettore, in colpa di defezione. Eccezionale noir, ispirato alla larga da Scerbanenco, ma frutto d’una sceneggiatura puramente ascrivibile al grande Di Leo (Ingo Hermes è imposto dalla co-produzione tedesca). Adorf domina e buca lo schermo.
Molto convincente Mario Adorf, nel ruolo di un pappone milanese un po’ sbruffone, che viene incastrato dal boss locale. Il film si trasforma quasi subito in una caccia all’uomo, soprattutto quando arrivano i due sicari per eliminare Canali (Adorf). Bravo il protagonista a costruire il personaggio, che da omuncolo dalla lingua lunga si trasforma in vendicatore, quando viene attaccato negli affetti più cari. Nessuna morale. Il boss difenderà nome e credibilità a tutti i costi. Da vedere.
Altro potente capitolo del noir italiano, che rispetto a MC9 appare meno cupo e tragico e più essenziale, lineare ed immediato. L’immenso Adorf tratteggia un macrò leale con gli amici, tenero con la sua famiglia, ma spietato con gli avversari, che vengono abbattuti dalla furia delle sue testate vendicatrici. Silva è insolitamente plastico, esuberante e parolaio e cede la sua granitica impassibilità al collega Strode. Scelta ottimale di volti (Cusack. Celi, Paluzzi, Coluzzi, Fabrizi, Berling…) e attori-stuntmen (Capanna, Galimberti).
Storia di un piccolo macrò della mala milanese che si ritrova braccato da due spietati killer americani senza un motivo apparente… Di Leo, autore anche del soggetto, è bravo nel descrivere con cura la disperata deriva di un uomo finito in un ingranaggio più grosso di lui, gira scene d’azione di tutto rispetto e tratteggia con cura anche i personaggi secondari. Se aggiungiamo l’interpretazione di un eccellente Mario Adorf, credo di aver reso l’idea di un grande film, senz’altro tra i migliori del regista pugliese.
Grandissimo film di Di Leo che ci regala uno dei più straordinari noir italiani di sempre. Livido, violento e spietato come pochi altri e per questo degno di autori più quotati come Don Siegl e Melville. Sceneggiatura tesa e vibrante. Musiche di Trovatoli che si fondono efficacemente con le immagini. Maestosa la prova di Adorf che ci regala uno splendido personaggio ed un finale assolutamente memorabile.
Una partita di eroina rubata, un pesce piccolo a cui addossare la colpa, una vendetta cieca e rabbiosa. Tutti elementi noti al genere noir, che Di Leo usa con mestiere confezionando un altro film “scerbanenchiano” dopo Milano Calibro 9 (curiosamente, quello è il titolo del racconto da cui viene l’idea di partenza del film). Meno intenso e più fiammeggiante, mette in prima linea un grande Mario Adorf, pappone con una sua dignità che non accetta compromessi e si fa giustizia da solo. Qualche tributo al gusto pop dell’epoca. Il finale è eccessivo “