“A mani nude ti gonfierò di botte, fino a farti credere che la tortura è un trattamento ai fanghi di un hotel ed il tuo respiro è un miracolo. E griderai dal fondo del dolore credimi, che pregherai, che il sangue nelle vene non lo avessi avuto mai. Sarebbe stato più facile. E gli assassini come me, domani, colpiranno ancora. E rimarranno sporche le mani aldilà del tempo.” – “Verrà l’Arcangelo Gabriele”
Ci sono voci che colpiscono subito, riescono a toccare tasti emozionali che non hanno bisogno di spiegazioni. Piacciono, punto.
È proprio ciò che mi è accaduto con il primo singolo “Le Pulle” di Alfonso Moscato (ex voce e autore della band Cordepazze). Uscito in anteprima in inverno 2015, con la regia e montaggio di Andrea Nocifora (audio registrato e mixati da Orazio Magrì), mi ha da subito colpito per il timbro vocale, la bellezza del testo e le calzanti riprese.
Dunque aspettavo con riguardo questo disco d’esordio ed ieri finalmente eccolo. “La Malacarne” si manifesta a noi con dieci canzoni o meglio dieci storie di uomini e donne, storie che raccontano una vita periferica di disagio.
Alfonso Moscato narra la vecchiaia, il reato, la desolazione, la malattia, la disgrazia, l’orrore, lo scempio, lo stupro. Cerca, in queste tenebre, la fiammella irriducibile che alberga nel cuore di ogni uomo.
Dal fondo della disperazione, della disgrazia, della degradazione, del vizio, della miseria, dell’infamia, dell’assassinio, della carne, esiste una via stretta e ripida che conduce alla salvezza dello spirito.
Il disco “La Malacarne” è il risultato di una riflessione lunga e profonda che Alfonso Moscato descrive con queste parole: “Le parole, i suoni, le immagini, la proprietà di guardare così profondamente nel cuore della miseria, dell’orrido, del sudicio, del mostruoso e di tutto questo insieme, da poter intravedere la luce della bellezza infinita. Lo sguardo di chi vede dentro ogni delitto, dentro ogni ammorbamento della natura umana, dentro ogni deviazione, una via che sorprendentemente può portare all’eccelso, alla luce accecante della bontà del mondo.
Nel pensionato abbandonato (“I Paesi svuotati”) come un relitto umano in sobborghi svuotati, nel ragazzo di periferia che sa comunicare esclusivamente attraverso la cieca violenza (“Verrà l’Arcangelo Michele” e “Amore Criminale”), nella donna nigeriana catapultata sulle rotte del sesso a pagamento (“Le Pulle”), nel mafioso stragista, massacratore perfetto e macchinatore di lutti (“Giovannino senza paura”), nel mendicante più cencioso e puzzolente del mondo, nelle periferie del c.e.p., dello z.e.n., dello Sperone, di Brancaccio, di Scampia e Secondigliano come in tutte le periferie del mondo, da Rio de Janeiro a Shanghai, nella normale, quotidiana, strascicata vita incognita dell’uomo qualunque, in tutto questo e altro ancora, rimane il codice celeste, la luminosità divina, l’irriducibile residuo santo nel cuore dei “peggiori” e degli ultimi.
A volte potrebbe bastare un fotogramma, una misteriosa geometria alfabetica, una sonorità, per intuire la splendente bellezza dorata nell’ abisso dello scempio abominevole. Perché in fondo al cuore di ogni malvagio, di ogni derelitto, resiste sublime la sostanza divina che ci rende uomini.
I luoghi che abbiamo voluto fotografare come le storie narrate nel disco, sono orrendi e splendidi nello stesso tempo, lucenti e tenebrosi, gloriosi e miseri, come Palermo, come la Sicilia, come il mondo intero, come la vita nostra che ci respira accanto. Poiché nella degradazione vi è la vera corona, nell’abbassamento la salvezza.”
L’album si completa con i brani: U Carzaratu; La Canzone Di Mimì; Distruggimi; Malaluna e Etz Ha Zait.