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La Malattia di Parkinson.

Creato il 17 novembre 2014 da Lucavannetiello

Nella malattia di Parkinson si identifica uno specifico deficit: la progressiva assenza di dopamina in un'area del cervello che si chiama Sostanza Nera*. Questa area si trova nel mesencefalo, ma funzionalmente può essere considerata una struttura dei Nuclei Della Base. Insieme al Parkinson si identificano condizioni simil parkinsoniane, perché hanno manifestazioni simili ma non il deficit di dopamina.

La dopamina è un neurotrasmettitore. Dalla dopamina viene la parola Doping, cioè il prendere sostanze che aumentano le attività fisiche e mentali. Questo perché la dopamina è il neurotrasmettitore principale che attiva il cervello, che lo sveglia. Infatti le aree del cervello che vengono attivate dalla Sostanza Nera Dopaminergica sono anche definite: Sistema Di Attivazione Dopaminergico.

Questo sistema fa un simpatico gioco di reciproca stimolazione con gli emisferi del cervello, cioè la sostanza nera attiva lo Striato (dei Nuclei Della Base) che attiva il cervello, che a sua volta restituisce il favore e attiva lo striato che dice poi al Nucleo Pallido Interno e alla parte reticolata della Sostanza Nera se un movimento lo possiamo eseguire o no. È uno dei tanti meccanismi di Attivazione/Inibizione che ci permettono di essere come siamo.

Occorre ricordare un concetto che qui diventa fondamentale: quando abbiamo, ad esempio, un braccio a riposo, rilassato, il braccio non è "spento", ma è attivamente inibito . C'è un freno che gli impedisce di fare movimenti non controllati. Quando il cervello manda un input per muovere un dito, toglie il freno a quel dito e permette il movimento.

In condizioni patologiche, quando una parte del cervello muore per un infarto e non riesce a mantenere costantemente il freno inibitorio, abbiamo la contrazione costante di tutti i muscoli di un arto che ci dà come risultato la spasticità.

Tutti i movimenti che noi eseguiamo, dagli arti agli occhi fino all'articolazione della parola, passano dai Nuclei Della Base come attraverso una specie di "filtro". E i Nuclei Della Base filtrano e regolano la selettiva eliminazione del freno sui compiti motori. Capirete come il ruolo dei Nuclei della Base può sembrare semplice se si tratta di alzare un dito, ma si complica, o si veste di bellezza, se si tratta di suonare il piano oppure fare movimenti ritmici ripetuti.

Cosa accade nella malattia di Parkinson? Fisiologicamente c'è una perdita di dopamina, e tutto il sistema di attivazione diventa sempre meno efficace fino a spegnersi più o meno del tutto. Clinicamente, praticamente, il paziente comincia a rallentare perché tutti i muscoli si contraggono e diventa più difficile muoversi, il paziente diventa ipocinetico, comincia a non oscillare un braccio quando cammina, o entrambi, il volto diventa piatto, ipo/amimico, lo sguardo tende a fissarsi nel vuoto, e i movimenti oculari diventano patologici: non c'è risposta optocinetica, le saccadi sono lente, l'inseguimento di un oggetto è frammentato, eventualmente il paziente sviluppa il tipico tremore a riposo e così via.

Il paziente parkinsoniano spesso ha difficoltà a cominciare un movimento, in particolare a camminare, deve fare dei passettini iniziali, se è negli spazi stretti gli è complicato muoversi. In altri termini, l'ipocinesia progredisce fino a "congelarlo". Così come ha difficoltà a iniziare un passo, ha difficoltà a muovere gli occhi da un posto all'altro. Perciò lo sguardo rimane fisso.

Per le cose che ci siamo detti in passato, a questo punto, possiamo anche dire che il rapporto con la forza di gravità di un paziente parkinsoniano diventa complicato.

La terapia medica/farmacologica prevede la somministrazione di dopamina (esogena) con pillole. Tuttavia questa non riesce a fermare né invertire la progressione, almeno non c'è riuscita fino ai giorni nostri. È tuttavia una grande conquista medica la possibilità di sostituire la dopamina non prodotta dal corpo con quella somministrata dall'esterno. In altre condizioni la "terapia sostitutiva" è curativa, come ad esempio per chi ha bisogno di prendere ormone tiroideo. Nei casi in cui i dosaggi del sangue sono nella norma, il paziente apparentemente non ha problemi tiroidei e fa la vita che sceglie. Nel nostro caso non è così perché il cervello ha bisogno di attivazione per funzionare. Non è una questione di livelli di dopamina nel sangue, (come invece per la tiroide e gli ormoni tiroidei). Dipende dalla quantità di dopamina che riesce ad essere presente dentro le terminazioni nervose, in un sistema che, tra l'altro, varia continuamente livelli di attivazione anche in base al lato destro/sinistro del corpo e del cervello. Se un sistema non è attivato, anche se è integro, non funziona; è come se fosse rotto.

Il parkinson viene definito come un disturbo del movimento. Certamente lo è, ma la definizione non è corretta, a meno che non sia assodata la premessa che nessuna patologia neurologica centrale** possa essere solo motoria, ma è sempre anche cognitiva ed emotiva perché la nostra capacità di pensare dipende dalla integrità del nostro rapporto con la forza di gravità o da come ci opponiamo ad essa.

I pazienti parkinsoniani tendono ad essere depressi perché insieme al rallentare delle capacità motorie rallenta anche l'umore, tendono ad avere un rallentamento del pensiero e un decadimento del pensiero astratto, sono in difficoltà nel fare calcoli matematici. Il tutto avviene in una progressione a volte lentissima, a volte più veloce e non sempre tutti gli aspetti sono presenti, ma credo che l'idea generale sia chiara: dal momento che lo sviluppo delle capacità cognitive/emotive della specie umana dipende dal suo preciso rapporto con la forza di gravità, (deambulazione bipodalica), quando il movimento viene compromesso si ha di concerto il deterioramento delle funzioni superiori.

Si può intuire che con la decadenza del Sistema di Attivazione Dopaminergico nel Parkinson si innesca un circolo vizioso che, un gradino alla volta, si porta dietro gli altri sistemi cerebrali.

Possiamo, per esercizio, dire che: se c'è ipocinesia di un'articolazione o di un arto intero, questo manderà sempre meno informazioni al cervelletto riguardo alla sua posizione nello spazio. Se il cervelletto non sa bene che succede non può controllare l'esecuzione di quel movimento. Se il cervelletto non viene così attivato, non attiva a sua volta il cervello dandogli ragguagli sulla situazione motoria in generale, e non solo quella, aumentando così il decadimento cognitivo del paziente.

Se il cervelletto non è tanto attivato le risposte vestibolari diventano sempre più lente e i riflessi Vestibolo-Oculari (VOR) e vestibolo-spinali sempre più inefficienti. Infatti i pazienti in queste condizioni sono a rischio caduta perché inciampano e non riescono a pararsi dall'impatto.

Se gli occhi perdono efficienza la mappa corticale del corpo e la griglia dello spazio si modificano e quindi muoversi diventa ancora più complicato (non ci si può muovere se non si sa dove è il corpo).

Se la corteccia cerebrale non viene adeguatamente attivata da tutti i sistemi che abbiamo elencato, l'esercizio del pensiero e l'emotività si complicano.

Il tremore, che è l'aspetto che caratterizza il parkinson e che lo rende riconoscibile alle persone, è solo un aspetto del quadro clinico complessivo della malattia. Infatti quando chiedo ad un paziente parkinsoniano qual è la cosa che più vorrebbe risolvere, non mi sono mai sentito rispondere: "vorrei non tremare più". Piuttosto desiderano potersi concentrare meglio, poter camminare meglio, non bloccarsi. Tutti aspetti questi che invece sì, compromettono la vitalità di un individuo.

Cosa si può fare con un approccio Neurologico Funzionale, in aggiunta alla farmacologia? Molto, moltissimo.

Il Sistema di Attivazione Dopaminergico è un caposaldo ed è necessario, ma non è l'unico modo per tenere sveglia tutta la baracca del cervello. Tanto è vero che, come accennato all'inizio, ci sono "parkinsonismi" nei quali non c'è deficit di dopomina. Quindi si può essere ipocinetici, tremare, tendenzialmente depressi, bloccarsi, fare passettini senza avere il Parkinson. E sopratutto se la dopamina è somministrata dall'esterno, a maggior ragione bisogna attivare tutte le aree cerebrali per tenerle funzionanti, per mantenere al meglio le funzionalità residue.

Abbiamo detto più volte che il cervello per funzionare ha bisogno di ossigeno, glucosio (cibo) e di attivazione.

Esercizi di respirazione sono necessari e in genere chi si occupa di neurologia funzionale non deve lasciarsi sfuggire la qualità del respiro. Normalmente i pazienti parkinsoniani hanno un respiro molto superficiale, quindi non ossigenano bene i tessuti e men che meno il cervello. I Nuclei della Base sono sensibilissimi alla mancanza di ossigeno.

Se un'area cerebrale non è attivata semplicemente si spegne, fino a morire.

Come si fa ad attivarla? In diversi modi. Il cervello è un ricevitore di stimoli di diversa natura. È un trasmettitore di risposte motorie. Riceve e trasmette.

Il cervello riceve stimoli propriocettivi dalle articolazioni e dai muscoli. Questi stimoli arrivano al cervelletto che a sua volta dice al mesencefalo e al cervello la posizione del corpo e il livello di tensione muscolare. Il parkinsoniano si muove poco e riduce la qualità e quantità di stimolazione del cervelletto e viceversa, in un circolo vizioso. Quando una articolazione viene usata per pochi gradi di movimento o in un solo piano dello spazio, la quantità e qualità di stimolazione cerebellare si riduce anche fino ai minimi termini. Se si riduce la portata delle informazioni propriocettive, il cervello finisce per non sapere in che posizione dello spazio si trovi il corpo e di conseguenza non è in grado di muoverlo. E così il paziente parkinsoniano è ulteriormente obbligato a rimanere fermo, a bloccarsi, "congelarsi". Quindi, mobilizzazioni prima passive e poi attive in piani complessi, ad esempio, aumentano la qualità e quantità dell'attivazione cerebellare. Se il cervelletto è ancora intatto, allora si assiste ad una vera e propria risalita, un gradino alla volta, nel recupero delle funzioni e miglioramento del quadro generale. È comune che un paziente parkinsoniano confessi che, ad esempio, non ha la percezione di avere il braccio. Si dimentica di averlo. Ed è abbastanza ovvio, non si può usare un arto che non si sente.

Il sistema vestibolare stimola il cervello dicendogli in che modo ci stiamo muovendo nel campo gravitazionale. Il sistema vestibolare è parente strettissimo del cervelletto, informa il cervello che il corpo si sta muovendo e che sta perdendo l'equilibrio e controlla in modo automatico i muscoli della colonna vertebrale per farci subito correre ai ripari e non cadere (camminare altro non è che una sequenza ritmica di mancate cadute ). I parkinsoniani tendono a perdere la precisione di queste informazioni e infatti sono costantemente a rischio caduta, che sono sempre rovinose perché essi non sono in grado di avere risposte riflesse per pararsi. Una caratteristica parkinsoniana è il "freezing". I parkinsoniani si bloccano, non riescono a cominciare il passo. Uno dei motivi è legato alle modifiche del sistema vestibolare. Se c'è una difficoltà a interpretare il proprio movimento nello spazio automaticamente ci si blocca. Ciascuno di noi ha presente la paura di un amico, o la propria, a stare su di una torre e guardare giù. Anche se c'è una ringhiera e consciamente si sa di essere al sicuro, la percezione di non essere in grado di controllare il proprio corpo può paralizzare. È più o meno quello che accade nel Parkison, senza la paura di precipitare, ma con la medesima difficoltà a cominciare a muoversi perché le risposte vestibolari sono inesatte.

In che modo si stimola il sistema vestibolare? Attraverso rotazioni del corpo, rotazioni del capo, movimenti oculari. Si inducono movimenti controllati. Le vie vestibolari sono le più veloci che noi abbiamo. Reagiscono e te lo fanno sapere immediatamente . Sono gentilissime. Ti dicono subito se sono intatte e se sono utilizzabili.

I parkinsoniani hanno una tipica postura "camptocormica". Sono piegati in avanti. C'entra ancora il sistema vestibolare e propriocettivo. Il motivo è legato quindi, alla percezione della propria posizione nello spazio. La loro sensazione inconscia gli dice che sono spostati all'indietro. Loro si sentono in questo modo e per non cadere si piegano in avanti. Se non adottassero questa strategia (inconscia, ma obbligata) cadrebbero all'indietro all'inizio del passo, o per non cadere si bloccherebbero.

Come si fa a spostare la percezione del proprio baricentro più in avanti così che non sia "obbligatorio" piegarsi? Si usa il sistema vestibolare per far "credere" al cervello che si sta cadendo in avanti. È possibile farlo in diversi modi. E anche in questo caso se "l'hardware" è intatto gentilmente riprende a funzionare migliorando spesso istantaneamente la postura.

La rigidità del corpo ha una sua controparte nei movimenti oculari. Le risposte motorie oculari sono risposte motorie proprio come il muovere un braccio. I pazienti parkinsoniani hanno difficoltà in tutte le funzioni oculari. In particolare, tra le altre, normalmente hanno risposte optocinetiche lente o assenti, sono molto lenti nelle saccadi, l'inseguimento di un target è interrotto. Come abbiamo detto, questi aspetti oculomotori sono la finestra dell'attivazione cerebrale e possono dirci molto sullo Stato di Integrazione Centrale di tutte le aree cerebrali. Le strategie di esercizi oculari sono numerose e sono sempre da adeguare e combinare per il singolo paziente. Il sistema vestibolare, (di cui sopra) è un tutt'uno con il sistema visivo e oculomotore. Infatti abbiamo i riflessi Vestibolo-Oculari (VOR).

Questo sapere permette di riabilitare vaste aree cerebrali compromesse dal deficit del Sistema di Attivazione Dopaminergico, che sono poi dirattemente responsabili del quadro generale nella malattia di Parkinson.

Si potrebbe continuare con gli esempi e le ipotesi per strategie di stimolazione, ma riassumendo possiamo dire che esaminando in modo adeguato il sistema nervoso centrale di un paziente parkinsoniano in base a quali sono i problemi e i deficit ci sono altrettante strategie per provare a riattivare aree e funzioni che bypassino l'ostacolo. Forse sarebbe meglio dire che potenziano l'effetto della terapia sostitutiva con Dopamina esogena.

La malattia rimane, è reale. Tuttavia un approccio funzionale permette e promette di rallentare sensibilmente la progressione sintomatica permettendo una qualità di vita migliore, accettabile, qualora ci sia integrità. Per quanto non si possa né generalizzare ed è immorale alimentare false speranze posso dire che il residuo funzionale stupisce spesso per quanto sia maggiore delle aspettative. Ad ogni modo, le riposte sono abbastanza immediate ed evidenti.

Il residuo funzionale di un organo è sempre stupefacente. Si può avere un quarto di funzione renale residua e non avere sintomi, si può nascere con un solo polmone e non avere sintomi, si può avere una colonna vertebrale marcatamente artrosica e non avere problemi né sintomi e così via.

Lo stesso concetto applicato in neurologia permette recuperi altrettanto stupefacenti.

Riassumendo:

la malattia di Parkinson è un disturbo dovuto a perdita di dopamina nella Sostanza Nera che annulla il Sistema di Attivazione Dopaminergico. La terapia farmacologica somministra Dopamina dall'esterno.

*la Sostanza Nera viene descritta in due porzioni, di cui una la parte reticolata produce GABA e non dopamina che è nella parte Compatta.

** la Sclerosi Laterale Amiotrofica è un patologia del sistema neuromotorio che però lascia intatte tutte le altre funzioni. Purtroppo i pazienti affetti sono coscienti e consapevoli fino alla fine della loro condizione. La malattia non gli concede un po' di ottundimento o incoscienza.


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