L'ultimo ballo di Charlot, di Fabio Stassi
Edito: Sellerio Editore (2012)
Pagine: 279
ISBN: 978-8838927645
Prezzo di copertina: 16,00€
Ebook: disponibile al prezzo di 10,99€
Alcuni film traggono ispirazione dalla vita reale, ma cosa succede quando la vita reale trae ispirazione anche dai film? In questo caso però non si tratta di vita vera, ma di finzione, eppure l'effetto è ugualmente spettacolare per il lettore.
Fabio Stassi, nel suo “L’ultimo ballo di Charlot”, crea uno scenario maestoso e ricco, senza rinunciare ai fumosi toni pastello della favola e alla musicalità della poesia.
Charlie Chaplin è ormai anziano quando la Morte va a trovarlo per l'ultimo viaggio, si è da tempo ritirato nella sua villa in Svizzera, ma non è ancora pronto a lasciare questo mondo, il suo ultimo figlio è ancora piccolo e lui ha ancora tanto da raccontargli. Il patto che stringe con la morte è semplice, la vecchia mietitrice tornerà ogni Natale, ma finché Chaplin riuscirà a strappargli una risata, avrà un altro anno di tempo. È così che inizia la lunga lettera di Chaplin a suo figlio Christopher, una lettera in cui raccontargli un'ultima favola, quella della nascita del cinema, ma soprattutto la storia della vita di un orfano alla ricerca del suo posto nel mondo, di un uomo solo in terra straniera, di chi ha sognato anche quando aveva le mani sporche e ha finito per diventare famoso in tutto il mondo.
Sono lontani, in questo libro, gli aneddoti sui grandi incontri, la gloria, le luci della ribalta, il Charles che ci viene presentato è alternativo, è il ragazzo che viene prima, quello che senza aver consumato le scarpe e patito la fame sarebbe stato incapace di raccontare sentimenti immortali. C'è la mano di Fabio Stassi dietro la lettera a Christopher, ma i toni del racconto, le atmosfere che evoca, la voce che narra, risultano così veri e così simili a quei lungometraggi con le didascalie che abbiamo tanto amato, che si potrebbe scambiare il racconto per un originale. Forse Chaplin avrebbe scritto davvero così al figlio se avesse voluto raccontargli la sua gavetta e i suoi tormenti.
La storia, come ci spiega anche l'autore nella postfazione, è ricca di personaggi, luoghi, storie, prelevati dai loro luoghi originali e cambiati di posto, così che il lettore, mentre percorre le strade d'America con il futuro genio del cinema, possa provare ad afferrare le citazioni, riconoscere volti, ricordare luoghi, e a rimettere a posto i pezzi nella propria mente, con una carezza al proprio ego per esserci riuscito. E così, un incontro fuori a un negozio di fiori varrà ancora di più, e un "Tu?" ci commuoverà ancora una volta.
Gli interni, di notte, sono ancora in forma di sceneggiatura, ma i sei rulli sono già pellicola, immagini in bianco e nero con musica in sottofondo. Una storia di meraviglia e stupore, di polvere e sangue, di inquietudine e leggerezza, magica e un po’ malinconica, come gli occhi del Vagabondo. Uno dei libri migliori che questo anno di letture mi ha fin qui regalato.
"Per come la vedo io, il vagabondo è un clown bianco, con la sua aria di nobiltà triste e decaduta che hanno tutti i clown bianchi, e al tempo stesso è l'Augusto, il buffone irriverente, il bambino capriccioso che fa le boccacce e ha le mani sporche: unisce le due anime di ogni pagliaccio.”