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La mani della mafia – il terzo livello

Creato il 20 marzo 2014 da Funicelli
La mani della mafia – il terzo livello
Restano, infine da spende alcune parole sui legami tra il Banco , la mafia e il cosiddetto «terzo livello». Ci sono responsabilità, infatti, che vanno bel al di là di quelle degli amministratori, sindaci, soci occulti, faccendieri e «banchieri senza licenza» che sono sotto processo in aula in tribunale. Lì nessun pentito è mai arrivato. Anche Tommaso Buscetta si ferma ben al di qua, e ha detto esplicitamente di non potersi spingere oltre per «evitare un turbamento degli equilibri troppo drammatico».
Ma forse non è affatto necessario che qualcuno si decida a parlare, se si deve dare retta a quanto sostiene Giovanni Falcone , e cioè che il «terzo livello» non è un livello gerarchico sovraordinario agli altri e in particolare alla Cupola. I rapporti con la politica, cioè, sono di tipo orizzontale e non verticale. Basterà allora che il lettore richiami alla memoria le frequentazioni dei principali protagonisti della nostra storia per sapere chi ha offerto coperture al Banco della mafia.
Ogni faccendiere, grande o piccolo, ha avuto e ha il suo referente, o anche più d'uno, nei vari partiti. Si tratta di legami noti.
Il nostro compito era quello di tentare di mostrare ciò che non era noto: il loro sottofondo schiettamente criminale.
Il libro di Maria Antonietta Calabrò (Le mani della mafia edito da Chiarelettere) termina con queste considerazioni in cui si spiega come, più che puntare il dito contro questo o quel banchiere, questo o quel politico, il suo intento fosse di ricostruire “il contesto” in cui è maturato uno dei più gravi scandali finanziari della storia italiana (il crac del Banco Ambrosiano). I legami con la P2. I canali usati per il riciclaggio di denaro sporco da parte della mafia che passavano per il Banco Ambrosiano e poi lo Ior. Canali e gruppi criminali attivi ancora attivi, come raccontano le inchieste sugli eredi della banda della Magliana, sullo Ior, su monsignor Scarano e sull'elenco dei conti (di probabili evasori) che la banca Vaticano sta chiudendo senza informare lo stato italiano. Quali sono le ragioni per cui Roberto Calvi è stato ucciso? La tesi del libro è dimostrare che Calvi fu stritolato dal meccanismo mafioso con cui si era messo in affari, per la guerra di mafia che aveva visto prevalere l'ala corleonese contro le famiglie storiche palermitane. Calvi fu abbandonato dai fratelli massoni (Gelli, Ortolani) e dai faccendieri che lo avevano accompagnato nei suoi ultimi mesi di vita (Carboni prima e Pazienza poi).
Quell’estate del 1991
Nel giugno del 1991, terminata la prima stesura di questo libro, ero giunta alla conclusione che il presidente del Banco ambrosiano, Roberto Calvi, era stato ucciso nell’ambito della lotta tra i clan mafiosi «perdenti» e «vincenti» di Cosa nostra siciliana. Non solo. L’omicidio di Calvi rappresentava a mio avviso la cartina al tornasole dei rapporti tra finanza, politica e il sottostante mondo criminale.
Una tesi molto «ardita», a quei tempi, alla quale ero arrivata ricomponendo le tessere di un puzzle assai complicato disseminate fra atti, documenti ufficiali, giudiziari e non, e «fonti aperte».
Infine, le conclusioni del libro che tirano in ballo i contatti col mondo della politica. Per rispondere, basta andare indietro nel tempo e vedere chi erano i politici nella lista della P2 (almeno quella nota). Chi erano i protettori politici di Sindona e Calvi. Chi erano i politici che avevano accesso ai conti del Banco Ambrosiano (come il conto Protezione). Chi erano i politici che più di altri si sono opposti (e si oppongono ancora) alla creazione di leggi contro il riciclaggio. Che bloccano l'azione della magistratura fuori dalle banche. Che ancora si ostinano a vedere la mafia solo come un problema di coppole e lupare.
Sono le persone che si sono mosse affinché i cassetti con dentro i segreti d'Italia (tra cui il caso Calvi, il suicidio di Sindona, tra gli altri): quei cassetti di cui Dalla Chiesa parla nella prefazione del 1991 al libro. Cassetti chiusi affinché tutti i processi contro l'apparato criminale all'interno dello stesso stato, possano terminare in archiviazione o in assoluzione.
Quale regime ha mai consentito ai propri apparati di portarlo sul banco degli imputati? Il regime e della corruzione e della violenza che ha dominato l'Italia nell'ultimo ventennio non ha fatto eccezione alla regola. Procedendo tra le pagine, il lettore si imbatterà in un vero e proprio network criminale che pesa come un macigno su chi ha visto e coperto, su chi sapeva e ha preferito per mille ragioni non parlare. Troverà appunto, come si è detto, il caso Ambrosoli; e troverà le persecuzioni scatenate contro i vertici di Banca d'Italia, Paolo Baffi e Mario Sarcinelli. Troverà la vicenda del Consiglio Superiore della Magistratura – anche allora nell'occhio del ciclone – messo sotto inchiesta per i troppi cappuccini consumati. Si imbatterà nella strage del treno di Natale con il suo carico di vittime che sul momento quasi nessuno avrebbe imputato allo strapotere della mafia. Come si imbatterà nel giudice Carlo Palermo, vittima di quel tragico attentato vicino a Trapani, nel regno delle raffinerie dell'eroina. E poi troverà il caso Cirillo, con il suo corredo di morti ammazzati postumi, di bugie di Stato, di patti inconfessabili.
[..]
E a proposito di istituzioni e del loro disfacimento, forse vale la pena di ricordare, in chiusura di queste pagine, come proprio Roberto Calvi, con il suo caso, rappresenti in fondo un discrimine tra l'Italia della Costituzione e l'Italia senza legge progressivamente disegnata dal potere politico. Fu infatti nelle settimane del suo arresto, nella tarda primavera del 1981, che i mutamenti quantitativi avvenuti sul piano del pubblico pudore dei comportamenti dei partiti di governo divennero un mutamento di qualità. Fu allora, durante la discussione sulla fiducia al primo governo Spadolini, nato sulle ceneri di quello presieduto da Forlani (schiantato dal caso P2), che tre leader della maggioranza, Pietro Longo, Flaminio Piccoli e Bettino Craxi difesero in Parlamento il perseguitato Roberto Calvi attaccando frontalmente i magistrati che avevano osato arrestarlo.»
Un'ultima nota sul rinnovamento dello Ior su cui l'autrice è molto scettica:  “Prima di trasformare lo Ior in un'istituzione benefica da banca d'affari (sporchi) qual era, i soldi che vi sono custoditi devono uscire ed essere ripuliti. La rivoluzione di Bergoglio è solo all'inizio e incontrerà molti ostacoli. ”
L'intervista a Micromega dell'autrice. La scheda del libro su Chiarelettere.
Vedi anche: "Poteri forti" di Ferruccio Pinotti
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