Fino a quel momento sono rimasto incollato ai pacer delle tre ore e quindici, tempo evidentemente al di sopra delle mia attuali possibilità visto che mi ritrovo a correre non su due gambe ma su due tronchi d'albero e questo non è un segnale incoraggiante durante una maratona giunta neppure a metà.
Così, quando a Villeneuve Loubet scorgo tra il pubblico Lia e mia madre, annuncio loro la mia intenzione di ritirarmi. Lia mi consiglia dispiaciuta di provarci comunque, magari rallentando, ma sento di non aver proprio più nulla da dare. Alventunesimo chilometro finalmente mi fermo, e telefono perché mi vengano a recuperare da qualche parte. L'impresa è complicata dal fatto che sia lei che mia madre al momento sono sul treno che hanno preso per seguire la competizione, fermandosi e risalendo in vari punti del passaggio di quest'ultima. Devono quindi prima tornare a Cannes, recuperare l'auto e poi tornare indietro a prendermi (svantaggi delle gare in linea). Nel frattempo mi rimetto a corricchiare svogliatamente: ormai mi sento estraneo all'evento. Passano alcuni chilometri. Ritelefono a Lia: il treno ha un guasto ed ha accumulato ritardo. Pazienza. La prego di richiamarmi quando il treno riparte. Continuo poco convinto. Fermo il GPS, non c'è più nulla da registrare.
L'attraversamento di Antibes avviene tra due ali di folla incitante: c'è molto entusiasmo, la giornata è splendida e quasi mi spiace di non poter offrire uno spettacolo decoroso, con la mia corsetta che si fa sempre più spenta. Proprio nel clou del passaggio, in mezzo ad una folla consistente di persone il telefono, che ha forma e colore di una saponetta e la stesso coefficiente di scivolamento, cade in terra, attraversa metà sede stradale e si ferma accanto al cordolo. Lo raccolgo velocemente, formulando mentalmente la preghiera che sia ancora funzionante, in quanto unico via d'uscita da quella maratona. E' Lia e mi informa che il treno è finalmente ripartito.L'idea di fermarmi da qualche parte ad aspettare non mi va, quindi proseguo, alternando alla sterile corsetta anche qualche tratto di camminata.Dopo aver costeggiato il porto, l'Avenue de Verdun percorsa dalla fiumana di partecipanti curva a destra verso l'interno della cittadina, ed una ulteriore svolta, questa volta a sinistra, rivela con mio sommo disappunto una salitella, uno spunto, uno strappetto. Durante una maratona però, anche salire su un cordolo equivale a fatica e per me quel tratto, di soli 36 metri di dislivello che ci porterà a Cap d'Antibes, equivale al Passo Pordoi. A dispetto delle sensazioni negative, arrivo in cima zampettando con passo accettabile a fianco del Musée Picasso ed approfitto della successiva discesa per rifiatare.
Si sale verso Cap d'Antibes
Quando la discesa spiana, scopro di avere ancora meno energia in corpo. Bravò Gianfranco! E' l'incitamento che raccolgo da più di uno spettatore che, letto il nome sul pettorale, vuole benevolmente darmi quella carica che in quel momento non ho. Vorrei infatti solo fermarmi, ma la forza della maratona mi spinge avanti a forza. Il fiume umano del quale faccio parte mi condiziona col suo fluire e ci vuole (incredibilmente) una certa forza mentale per fermarsi o anche solo camminare quando tutti corrono avanti.Del resto, fermarsi dove? In quel momento non sapevo di preciso dove fossi e di conseguenza neppure ero in grado di fare una indicazione precisa del recupero.
Squilla la saponetta: Lia mi avvisa che il treno è arrivato a Cannes. Appena sale in auto mi richiamerà.Nel frattempo proseguo sperando di raggiungere prima o poi una zona ove il recupero sia più facile. In quel momento la strada costiera, naturalmente chiuso al traffico, sembra lontana dalle arterie principali di comunicazione e non è mia intenzione abbandonare la maratona per inoltrarmi in strade cittadine sconosciute al solo scopo di essere recuperato più facilmente.
Esausto
Ormai, ogni chilometro è guadagnato con i denti e l'unico carburante mentale di cui dispongo è la speranza che presto il calvario avrà fine. Magari alla prossima svolta oppure alla fine del lungo rettilineo che ho davanti potrò fermarmi ed aspettare, e null'altro. Sono ancora in gara, ma non mi sento affatto in gara, non più.Abbiamo tagliato a metà l'istmo e siamo entrati a Juan-Les-Pins.Dopo uno spunto in salita, che questa volta mi lascio alle spalle senza neppure azzardare un passetto di corsa, il tracciato di gara viene affiancato a destra da una strada trafficata.Perfetto, penso. Leggo un vicino cartello stradale cercando punti di riferimento per Lia.Antibes alla mia destra, Golfe Juan alla sinistra: un po' generico.Comunque mi fermo e mi siedo.Rifletto.TROPPO generico.Mi rialzo e riprendo il cammino, attraversando la strada per portarmi dalla parte opposta della carreggiata, ove possa camminare senza ostacolare nessuno.Ora mi serve soltanto un riferimento geografico da fornire a Lia, perché lo imposti sul navigatore.Ecco, quel residence dal nome La CROIX DU SUD sembra perfetto. Altra telefonata per comunicarne il nome.Nel frattempo, mi sono di nuovo fermato. Sto per togliermi il pettorale ma poi rifletto che tenerlo in mano sarebbe più scomodo e lo lascio dov'è.Faccio un po' di stretching, mi guardo intorno. Poi noto l'estremità di una viuzza, il cui sbocco sul tracciato di gara è presieduto da una pattuglia di polizia locale e ritenendolo un punto migliore da raggiungere in auto, mi ci reco, spostandomi dunque un po' più avanti rispetto al residence. Attendo fiducioso.Alcune auto si sono fermate per assistere al passaggio della maratona. Mi attraversa un pensiero fuggevole in che mi suggerisce quanto sarebbe dolce approfittare di un passaggio fino a Cannes. In auto, ma anche in motorino.
Dopo parecchi minuti di attesa che si è fatta progressivamente vana e frustrante, ritenendo che muoversi sia meglio che attendere inutilmente, conscio che la circolazione viaria, pesantemente modificata per la maratona, renderebbe arduo il mio ripescaggio mi ributto nel flusso umano incessante diretto verso la meta. Siamo ormai in zona più animata, non dovrebbe essere difficile il recupero.Dalle retrovie spuntano i pacer delle 3:30 che si allontanano all'orizzonte in breve tempo. Forse, se avessi puntato a loro, anziché a quelli delle 3:15 sarei ancora in gara. Sottolineo IN GARA e non semplicemente presente in essa, come sono ora.
Questa volta mi è andata di rischiare puntando in alto. Forse troppo, certo.Ed ora, un ritiro. Non è una buona notizia per il morale, perché di ogni ritiro qualcosa, in fondo, rimane, e può crearmi un precedente. Ma oggi non va proprio: di proseguire non se ne parla. Del resto, questa maratona neppure l'ho preparata ed è a tutti gli effetti un corpo estraneo in una tabella di preparazione incentrata sui trail, iniziata da poco e perdipiù con uscite domenicali di un'ora e trenta di lungo al massimo.E' dal diciottesimo chilometro ormai che anelo al ritiro e mi chiedo con quali forze sia riuscito ad arrivare fin qui, al trentacinquesimo. Quanto mancano? Sette chilometri? Naaa, non ce la posso fare, non con queste gambe. Con il fiato ce la farei anche, ma non con questi tronchi.
Da un pò la maratona ha ripreso a lambire la splendida costa. Mi fermo ad ogni ristoro, anche perché è l'unica occasione in cui il mio camminare non sembri fuori posto rispetto alla corsa degli altri.Laddove tutti si precipitano ai numerosi banchi come falchi sgomitando ed ingollando frettolosamente qualcosa di liquido e solido prima di ripartire in fretta io con calma bevo più volte, riempio la borraccia a mano, e proseguo, sempre camminando.Richiamo Lia, per avvisarla che mi sto avvicinando ed in quel momento noto il cartello del
38 esimo chilometro
E' in quel frangente che la mia percezione della realtà cambia.
"Rimani dove sei, la finisco!” le dico.
Realizzo che l'impresa che sembrava impossibile si è fatta improvvisamente alla mia portata: tutti i pensieri neri che mi avevano accompagnato fino a quel momento lasciano il campo ad una strana sensazione di rivincita. Il traguardo è a pochi chilometri: la montagna inaccessibile, troppo alta da scalare, si è sgretolata pezzo a pezzo, chilometro dopo chilometro ed ora è soltanto una lieve, dolce collina.Accelero. La camminata diventa corsetta, poi corsa. Recupero posizioni su posizioni, volo sulle ali di un ritrovato entusiasmo; è un passo da inizio gara, non da fine maratona.E' l'orgoglio che mi spinge avanti, è la mia personale rivincita. Mi accoglie la scritta Cannes. Sembra un sogno. Sembra un altra gara, quella cui sto partecipando. Questi chilometri finali sono una fiammata in cui bruciano tutti i pensieri negativi di sconfitta, rinuncia e pessimismo nutriti fino ad allora.Il tempo non mi interessa, quello che importa a questo punto è finire.La mia terza maratona si conclude con una volata forsennata a 3.34 sul tappeto blu che porta al traguardo tra l'assordante boato della folla che assiepa le transenne ai due lati.Il tempo, di quattro ore e due minuti sembra addirittura benevolo, visto i frequenti stop, le attese, le camminate.Sebbene dal diciottesimo fino al trentottesimo chilometro il mio unico pensiero sia stato solo quello di sottrarmi alla stanchezza, al gioco che non volevo più giocare, alla missione che non consideravo più mia, la sconfitta è diventata inaspettatamente vittoria. Non mi è servito tanto il crederci, perchè non ci credevo più, quanto il fatto di continuare comunque ad andare avanti.Un insegnamento prezioso, che è il regalo più grande di questa maratona.
La fiammata finale