Quante volte abbiamo sentito dire la fatidica frase: “se l’è cercata!”? E cosa ci fa pensare che una donna sia colpevole della violenza subita? Una gonna corta? Un paio di tacchi? Il trucco vistoso? O l’essere in metropolitana dopo la mezzanotte ?
Perché infondo la questione della vergogna davanti alla società, presume l’assunzione di colpa e la consapevolezza della gravità dell’argomento: chi si deve vergognare dinanzi alla società, l’aggressore (termine di cui curiosamente non esiste il femminile) o la vittima?
Quali le colpe, come distribuirle? Come convincere le donne vittime di violenza, la maggior parte avvenute fra le mura domestiche, a parlare, a rompere il silenzio, a denunciare e difendersi dall’aggressore se la nostra società giudica, in base all’abbigliamento, all’orario e al luogo in cui lo stupro è avvenuto?
Queste sono le riflessioni sottolineate dallo Slut Walk che ieri per la seconda volta in un anno ha avuto luogo a Parigi. Questi i concetti base da cui nascono gli slogan che vengono urlati per le strade delle città dai cortei non solo al femminile. Il termine Slut allude alla deriva moralistica di termini come zoccola, sgualdrina, mignotta o sporcacciona, spesso utilizzati per infamare donne abbigliate in un modo ritenuto troppo sexy o vistoso. Non è un’allusione alla professione di prostituta.
Ovviamente ieri allo SlutWalk ci sono andata anche io; ci sono andata perché volevo assolutamente esserci, e anche perché volevo portarvi con me, dare la possibilità anche a voi di ragionare sul senso di questa manifestazione che in Italia non ha ancora visto la luce (perché poi?)e che secondo me invece avrebbe ben ragione di essere organizzata.
Due gli episodi che mi hanno colpita, ve li racconto soprattutto perché sono antitetici.
Un ragazzo davanti al Pantheon ha chiesto ad una fotografa e blogger che stava documentando il corteo di fargli una foto in mezzo ad alcune ragazze della manifestazione. Istintivamente abbiamo credo pensato entrambe (io ero lì accanto) che volesse dimostrarsi solidale come uomo alla nostra causa, invece pronto per essere fotografato ha assunto la tipica posa da ragazzo cretino che ride perché in mezzo a belle donne svestite e vistose. Gli abbiamo chiesto se avesse capito il senso della nostra manifestazione, lui ha risposto in inglese, ridendo divertito e fiero della sua foto: “ma certo, siete tutte prostitute no?”. Dopo aver deglutito a sangue freddo abbiamo iniziato a parlare con questo ragazzo, mentre una ragazza ci registrava credo in quanto collaboratrice di una radio. Il ragazzo, un russo a Parigi per turismo, una volta aver ascoltato la nostra spiegazione seria e accorata ha detto che in Russia le donne che si vestono così, troppo sexy, secondo i russi hanno qualcosa che non va nel cervello. Eppure quando credeva che queste ragazze fossero delle prostitute la cosa non sembrava turbarlo, anzi, era fiero come un gallo nel pollaio.
Secondo episodio: alla fine della manifestazione abbiamo lasciato volare in cielo dei palloncini rossi a forma di cuore, in segno di ricordo delle vittime di stupro nel mondo. Mi si è avvicinata una signora, Lenore, aveva l’aria concitata, chiedendomi se parlo inglese. Mi ha quasi abbracciata nel gridarmi che veniva da Toronto e che lo Slut Walk è nato lì, nella sua città. Ne era molto fiera ed era impazzita dalla gioia per essere incappata nel corteo assolutamente per caso (anche lei era a Parigi per turismo). Ci siamo fatte fotografare insieme ad uno dei cartelli-slogan della marcia, e a fotografarci c’erano il mio ragazzo (Tommaso, che ha marciato insieme a me) e suo marito. Entrambi sorridenti e divertiti. E’ stato bello vedere la fierezza di questa donna adulta, ma è stata anche un’occasione preziosa poter ascoltare la sua testimonianza di come e perché in Canada si è scatenata e diffusa la marcia.
io e Lenore, da Toronto (Canada)
Gaëlle Hym, organizzatrice dello Slutwalk Paris
Certo, bisogna essere realisti: c’è ancora molto da fare, e qui in Francia si respira il peso delle conseguenze del caso di Dominique Strauss Kahn, che crea confusione nell’opinione pubblica francese, leggete qui , e della causa intentata sempre nei confronti di DSK da Tristane Banon.
Tuttavia, anche se la strada è ancora lunga, gridare “no c’est no” è stato liberatorio, importante, come è importante difendere le vittime di stupro soprattutto quando diventano a loro volta vittime di colpevolizzazioni inaccettabili.
Ne dites pas aux femmes comment s’habiller! Dites aux prédateurs de ne pas violer!/
Non dite alle donne come vestirsi, dite agli aggressori di non violentare.
E in Italia, Slut Walk, quando? Secondo me urge!