1 gennaio 2013 Lascia un commento
Dopo il neorealismo, non-genere nato nel momento in cui a luci scadenti e mancanza di celluloide, fu funzionale attribuire un nome ed uno stile, si doveva, si poteva iniziare a fare del cinema, cinema come arte libera da fucilazioni artistiche e non. Chiaro anche che la pellicola in questione non si ponesse al di fuori delle barricate, anzi.
Trattasi infatti della storia tragicomica di due disperati, Gassman e Tognazzi, che reduci della Grande Guerra ma soprattutto incapaci congeniti di lavorare, si aggregano per coincidenza ed indolenza all’appena nato partito fascista fino alla consacrazione a Roma dopo la marcia.
Viene da se’ che con Risi alla regia, Age, Scarpelli, Maccari e Scola alla sceneggiatura, non possa uscire un ritratto brillante del fascismo laddove la base e’ composta da ladri, scansafatiche, violenti e mezzi scemi, con i gerarchi come marionette tronfie e piene della sola boria necessaria a riempirli ma ci sta tutto perche’ non vuole essere un film politico, tantomeno di denuncia nonostante la ricostruzione storica per quanto imperfetta e sbilenca, sia piu’ precisa di certi documentari in prima serata di "grande storia" televisiva.
Poi si, siamo tutti qui per Risi e il duo Gassman-Tognazzi e tutto il resto e’ secondario al loro estro ed inventiva con la quale imbastiscono un film intero su piccoli gesti, tic ed invenzioni che dopo 50 anni esatti stiamo ancora raccontando. Non che la sceneggiatura non sia importante, anzi qui piu’ che mai escono frasi memorabili, situazioni esilaranti nel complesso di un momento storico che di divertente aveva molto poco ma il testo e’ parola, il corpo e’ quello dei protagonisti senza i quali probabilmente sarebbe uscita una pantomima anche un po’ misera.
Di Risi c’e’ l’orchestrazione e il ritmo, la perfetta lettura del testo e l’ineccepibile messinscena.
Classico della commedia all’italiana? Si e non e’ banalita’ la mia, semmai e’ la sola attribuzione nobile possibile.