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La marcia su Veregra (questo non è un racconto di fantasia)

Creato il 20 maggio 2011 da Laperonza
La marcia su Veregra (questo non è un racconto di fantasia) 

Arrivarono un po' danzando un po' marciando con fare marziale e maschio cipiglio. Occuparono la piazza o, almeno, qualche metro quadro della stessa visto che erano quattro gratti (cani). I presenti videro alzarsi "un bosco di braccia tese" per citare il vate, ma trattandosi di pochi braccini di infanti o poco più diciamo fosse un boschetto. Eia eia alalà aquaquà taratatà quaraquaqà! E via tutti a marciare su Veregra e sul suo direttorio reo di aver mosso accuse e che, per l'appunto, ne stava disquisendo nel contempo. Dalla piazza al Palazzo a sfidare il potere, a viso aperto e fronte alta, spaziosa. Chissà cosa pensavano i militi salendo le scale: "quanto mi sento eroico", "quanto mi sento figo", "ma manco Badoglio".... Raggiunta la sala del potere la sfida si fece accesa e, nel silenzio attonito del (poco) pubblico presente vociare, scalpitare, tanto rumore. E poi l'applauso accusatorio verso gli accusatori, sprezzante, violento, in negazione di quella cosa a cui quegli stolti seduti sugli scranni credono e nel nome della quale ivi siedono che si chiama "democrazia". Ah che parolaccia! E i militi pensavano: "mi vedesse mamma così figo", "chissà che paura gli stiamo mettendo", "stanno tutti zitti", "che paura gli abbiamo messo". Stavano davvero tutti zitti, ma per lo sconcerto e la sorpresa: nessuno poteva aspettarsi una tale evidenza di idiozia. Così dagli scranni colui che lì seduto sta in nome della democrazia che ce l'ha messo e che tanto invoca nella sua personalissima concezione della stessa si alzò e si diresse alla sua sinistra (dov'altro) ad unirsi all'applauso sprezzante, in faccia al suo nemico, in barba al rispetto dei colleghi e del popolo che gli ha dato mandato. Le facce del governo cittadino sembravano cenci dall'imbarazzo e la sorpresa. Ci vollero le divise per terminare la commedia. Divertente, davvero, ma triste nella sua dimostrazione della pochezza umana. E il silenzio del giorno dopo lo dimostrò ancora di più.

 

Luca Craia

 


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