Della Shoa si parla molto spesso e arrivo a dire anche troppo: ci vengono inferti discorsi, documentari, testimonianze, libri che costantemente sfuggono al nocciolo della questione trasformandola in una dolente o orribile saga: ormai non ci viene risparmiato nemmeno il negazionismo, una sorta di involuzione primitiva del revisionismo, secondo cui lo sterminio degli ebrei è tutta un’invenzione, magari degli stessi ebrei. Ma nonostante questa abbondanza e sovrabbondanza dell’argomento pare che non se ne colga l’essenza che è la soppressione fisica delle persone non perché abbiano fatto qualcosa di giusto o sbagliato secondo le leggi della classe dominante oppure siano portatrici portatrici di idee che vengono ritenute nefande, che nemmeno fanno parte di Paesi in guerra, ma in virtù del semplice fatto di appartenere a un gruppo etnico diverso o presunto tale. E’ del tutto evidente che questa è la negazione della persona, della cultura, dello stato, della nazione, dell’umanità stessa in favore di una sorta di tribalismo razzista moralmente odioso, folle e per giunta smentito, ahimè troppo tardi, dalla genetica.
Ce ne sarebbe da dire su questo istinto grossolano e oscuro che ancora ci coglie come un’ ancestrale extrasistole a milioni di anni dalla discesa dagli alberi, ma il punto è che in questa incomprensione è caduto anche Odifreddi nel post che è stato stupidamente cancellato da Repubblica, manco fosse stato un intervento contro il signor Monti. Il logico, fuori da ogni logica diceva, anzi dice,vista la diffusione universale del testo, che Israele si comporta peggio dei nazisti e peggio che alle Fosse Ardeatine, sulla base di un conteggio numerico: da circa uno a dieci a 1 ebreo per 241 palestinesi. Qui non si tratta di difendere l’operato dell’infame governo di Netanyahu, ma questi calcoli non hanno nulla a che vedere con la Shoa, ancorché la destra israeliana spesso se ne faccia scudo. Se è per questo in Iraq gli americani hanno avuto tremila morti e gli irakeni un milione, secondo stime inglesi, siamo dunque 1 a 333. O vogliamo ricordare che i russi nell’ultimo conflitto ebbero 27 milioni di morti in combattimento e tre “operati” dagli Einstazgruppen? Gli stessi tedeschi ebbero più di sette milioni di caduti. Tutte cifre superiori, talvolta di gran lunga ai 6 milioni di ebrei sterminati. Ma è la valenza che non è la stessa: perché una cosa è morire combattendo, un’altra essere prelevato a casa e portato a morte, magari dopo aver servito una vita il proprio Paese, perché appartieni a una “razza” diversa. Altrimenti potremmo paragonare i nostri seicentomila morti nella prima guerra mondiale ad Auschwitz oppure considerare una bagatella l’altro sterminio del secolo scorso, quello degli armeni di Turchia, un milione appena, uccisi perché non erano Turchi, qualunque cosa questo voglia significare.
La guerra è sempre una follia e un’assurdità, ma alle volte può anche parere consolante che essa scoppi per bramosie e interessi, desiderio di conquista e di potere (magari sotto l’alibi di idee e religioni) che prescinde dalla radicale negazione dell’umanità che è il razzismo. Cattolici e protestanti tedeschi si sono uccisi a milioni nella guerra dei trent’anni, tanto che un terzo della popolazione perì per la gloria e le dissennate ambizioni di principi e imperatori: una orrenda carneficina che ha influenzato e di molto la storia successiva, tutta “autorizzata” dagli stessi vangeli, da particolari di una stessa religione che serviva interessi precisi. Ma anche qui nessuno si sognava di negare l’umanità all’avversario, per quanto potesse odiarlo. Nemmeno agli indios introdotti come portatori dai tercios spagnoli.
Ecco è proprio per questo che i numeri di Odifreddi fanno cilecca: sono terribili, ma non hanno nulla a che fare con la Shoa con i quali vengono paragonati, forse, chissà, per un riflesso condizionato dal deicidio che risale ai tempi del seminario. Così come mi permetto di dire grazie alla mia esperienza giornalistica che chiunque scriva per un grande gruppo giornalistico, conosce sempre bene i limiti che questo pone. E che se uno vuole essere assolutamente libero, non ha che da costruirsi un proprio spazio e combattere con il valore delle proprie opinioni e idee piuttosto che con l’ “autorità” conferita dai forti poteri editoriali. Magari i lettori saranno di meno, 1 su 245 e meno disponibili ad accettare la mediocrità. Ma la libertà, quella vera, non quella ostentata per andare altrove, si paga.