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La materia del Silmarillion

Creato il 10 agosto 2011 da Patrizia Poli @tartina

Il saggio On Fairy- stories consiste in una conferenza su Andrew Lang tenuta da Tolkien nel 1938.

 Ivi egli elabora il suo concetto di subcreazione applicandolo alla fiaba popolare.  Egli ritiene, infatti, “subcreazione” il processo creativo del narratore di fiabe. Ma noi non siamo dello stesso parere. L’atmosfera rarefatta della fiaba popolare in cui né personaggi, né luoghi, né tempi, vengono specificati, non ha nulla a che vedere con l’arte della subcreazione, la quale, tramite la minuziosa precisione e coerenza dei dettagli, mira alla creazione di un mondo secondario alieno ma quasi altrettanto reale del nostro. Tale capacità (elfica direbbe Tolkien) è propria soltanto dell’arte fantasy.

A nostro avviso, chi ha proposto a Tolkien di tenere una conferenza sulla fiaba popolare, gli ha fornito invece l’opportunità di parlare della propria opera che, come abbiamo visto, contiene sì elementi della fiaba popolare, ma non si esaurisce in quelli.  Della nostra opinione è anche J.S.Ryan, il quale sostiene che con On Fairy Stories Tolkien

“is concerned to describe the genre, fairy-tale, in a way that does not relate well to many examples of the form, but which does apply very closely to his own writing.” 

Sulla struttura morfologica della quest s’inserisce una marea di dettagli che fanno di The Lord of the Rings un’opera che sbalordisce ogni lettore che vi si accosti per la prima volta.

E’ la materia del Silmarillion a dare il suo sapore inconfondibile a The Lord of the Rings.  Frodo si muove in un paesaggio dove altri si sono mossi prima di lui, dove persino le pietre ricordano il passaggio degli Eldar nella Prima Era.  E’ per questo che chi, come Ready, considera le appendici un divertimento dell’autore o un osso gettato in pasto ai fans della Middle Earth, non ha penetrato lo spirito della “fantasy”  Tolkiniana.

Come abbiamo dimostrato, The Lord of the Rings è strutturato sul modello fiabesco della “quest”.  Si parte da uno “status quo” di felicità che viene minacciato, cosicché un personaggio deve intraprendere la ricerca di qualcosa che rimuoverà la minaccia.  Superati numerosi ostacoli lungo il cammino, si giunge infine alla meta e si torna a casa restaurando lo status quo.  Apparentemente The Lord of the Rings è solo uno sviluppo molto ampio e dettagliato di questo modello.  Vedremo invece che in quest’opera Tolkien adopera il modello della quest in maniera particolare.  Alcuni degli elementi di questo modello vengono rielaborati in chiave moderna, altri addirittura dissolti nel corso della narrazione, tanto da farci sospettare di non essere di fronte ad una semplice fiaba di “andata e ritorno”.

Vediamo come Tolkien ha rielaborato tre elementi portanti del modello della quest: gli ostacoli, l’eroe e il lieto fine.

In The Lord of the Rings gli ostacoli incontrati durante la quest hanno una duplice natura: ostacoli fisici, che danno luogo a nuclei di avventura, e ostacoli di natura interiore.

Gli ostacoli fisici sono costituiti dalle numerosissime e pericolose avventure a cui vanno incontro i personaggi: la fuga al guado, la lotta contro Shelob, il combattimento contro gli Orchi nelle tenebrose miniere di Moria etc.  Tali ostacoli fisici o “avventure” servono a movimentare la narrazione e avvicinano The Lord of the Rings ad un moderno romanzo di avventure, in cui però molti degli eventi sono di natura soprannaturale.  Questi ostacoli fisici, tuttavia (come del resto quelli delle fiabe) possono avere significati anche a livello spirituale.  Essi divengono simboli della coraggiosa lotta dei protagonisti buoni contro il male e, a livello psicanalitico, rappresentano conflitti interiori.  Perdersi in una foresta come la “Vecchia Foresta” o la “Foresta di Fangorn”, è sempre stato - fin dai tempi di Dante Alighieri - simbolo di discesa nell’inconscio. 

Gli ostacoli di natura interiore sono costituiti da tutti quei momenti - e sono infiniti - in cui i personaggi si trovano di fronte a complicati dilemmi morali: scelte difficoltose, tentazioni, indecisioni, paure.  Tali dilemmi sono apertamente registrati con la tecnica del romanzo psicologico moderno.  Spesso questa registrazione - sulla quale torneremo in seguito parlando della natura dei personaggi tolkiniani - assume la forma del dialogo del personaggio con se stesso.  E’ questo un adattamento della tecnica dello “stream of consciousness” a un romanzo fantasy in cui anche i dilemmi interiori devono oggettivarsi in qualche modo e divenire tangibili quanto le rocce e gli alberi, senza per questo perdere la loro forza e modernità.

“(Sam) could not sleep and he held a debate with himself.  “Well, come now, ve’ve done better than you hoped” he said sturdily.  “Began well anyway.  I reckon we crossed half the distance before we stopped.  One more day will do it.”  And he paused.  “Don’t be a fool, Sam Gamgee” came an answer in his own voice.  “He won’t go another day like that, if he moves at all.  And you can’t go on much longer giving him all the water and most of the food.”  “I can go on a good way, though, and I will.”  “Where to?”  “To the mountain, of course.”(…) “There you are!” came the answer. It’s all quite useless.  He said so himself.  You are the fool, going on hoping and toiling.  You could have lain down and gone to sleep together days ago, if you hadn’t been so dogged.  But you’ll die just the same, or worse.  You might just as well lie down now and give it up.  You’ll never get to the top anyway.”  “I’ll get there, if I leave anything but my bones behind”, said Sam.  “And I’ll carry Mr Frodo up myself, if it breaks my back and heart.  So stop arguing!” 

continua…


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