venerdì 11 maggio 2012 di Noemi Venturella
(Riflessioni sulla socalità, da Dawson’s Creek all’oggi)
Sono cresciuta a suon di Dawson’s Creek e di vari Jen, Joey e Pacey che se non saltavano dalle scalette del patio per approdare per intere notti di flussi di coscienza dentro il casto letto di Dawson (sempre lui) non erano soddisfatti. Così, fin dalla più tenera adolescenza, io ero molto avvezza a frasi non di circostanza del tipo “vieni a trovarmi?” e avevo l’usanza di invitare spesso la gente nella mia dimora o di andare a trovare les amis nella loro.
Nel tempo, il lavoro, gli esami, il costo crescente della benzina e la gente stronza hanno portato questa sana abitudine a diminuire prima e ad estinguersi poi, fino ad arrivare ad un oggi in cui mi sembra che il fare/ricevere inviti in una casa dolce casa per il puro gusto del dialogo sia caduto in disuso, come un animale raro della cui estinzione non si ha ancora coscienza e che è sempre meno preferito al meno impegnativo uscire a cusciuliare città città.
Non notate anche voi che per i più vedersi in casa, parlare serenamente, confrontarsi, interessarsi all’altro senza altri (distraesti) elementi di primario interesse sia un’abitudine ormai sormontata o degna solo delle amichette del cuore o degli adolescenti che si riuniscono per confrontarsi i culi, i peni e i nuovi abiti?
Oggi, vedendo tristemente come non si riesca più a vedersi per parlarsi, a ricevere un invito del genere o a vedere gente che accetta con entusiasmo un mio invito del genere, mi soffermo a pensarci. E a chiedermi in che ibrido si stia trasformando la tanto decantata socialità.
Mi e vi chiedo allora: perché in troppi considerano non attraente passare un sabato sera a parlare fino a notte fonda? Perché confidarsi, parlare di qualcosa di personale o di non personale ma in modo sentito e profondo sono visti solo come attività secondarie, da esercitare sempre e comunque in un momento razionalizzato, limitato, imbrigliato e funzionale a un PRIMA o a un DOPO imprescidibilissimo (e rigorosamente non nel finesettimana)?
Se non c’è uno scopo immediatamente perseguibile, quasi nessuno valorizza più una forma di associazione pura, semplice e afinalistica; si tende sempre al passio, alla birretta fuori come condicio sine qua non per qualunque incontro, alla disco, alla pizza, al pub, alla cena/apericena in luogo ics.
Però poi, quando i morsi più beceri della solitudine ci tormentano, ci lamentiamo che tutti tendono al ripiegamento, all’individualismo, che a nessuno importa di noi. …E infine neanche ci si lamenta più: diviene normale non sapere più nulla dell’altro se non meccaniche fenomenologie delle apparenze, del tipo che fai e che hai fatto. Roba che si può esaurire anche in un sms insomma, o con quella classica birra in mano che, per quanto sia buona, certe volte è proprio un bel mezzo di fuga per non dirsi veramente altro.
Ma a me la meccanica non interessa.
E forse era noioso, ma faceva bene Dawson a parlare per ore di inutili dubbi esistenziali curcato nel letto condividendo con la povera Joey la sua smania di esistenza inattiva. Quantomeno parlava, lui.
Noi di quanti di quelli che pensiamo “amici” (o simili) sappiamo veramente come stanno? Che momento stanno passando? A quanti abbiamo veramente voglia di dire di noi? Quanti di questi nell’ultimo mese non abbiamo liquidato col solito, cordialissimo quanto sfuggente o ipocrita “tutto bene”? Con quanti preferiamo parlare solo delle ultime nuove della politica, senza avere la benché minima voglia di accennare al vostro vero Sé e al vero Altro-da-Sé?
…Ribadisco: perché?
Forse non siamo mai contenti di nulla di semplice, cerchiamo sempre l’altrove, che di certo non è nel solito amico e nella sua solita stanza; forse ci siamo inariditi, o siamo solo individui singoli e narcisi (non più uomini = esseri di gruppo); o forse i mass media e i social network soddisfano già circa il 90% delle esigenze relazionali dell’ex uomo sociale medio. Altrimenti, come si spiega quando siamo in mezzo agli altri passiamo più tempo a parlare solo del solito più e del solito meno, con lunghi silenzi o peggio lunghi momenti di riflessione sul “cosa facciamo adesso?”.
Forse siamo un banale “produci consuma crepa”: schiavi del mezzo, della fretta e del loop.
Un’uscita spesso è un mezzo, come un modo per non stare soli… né con se stessi né con qualcun altro.
Lì, nel bel mezzo della Vucciria, della sua caciara, ti ritrovi in fiumi di alcool a 1 euro e in mari salati di musica a palla che ti rimbomba meravigliosamente tra i neuroni facendoti dimenticare tutto. E se sei uno di quelli che sa fare solo questo, questo life style del viandante sul mare di nulla non potrà che esserti congeniale a restare sempre sul nulla: un nulla fatto di mille volti di cui, dietro la pelle, non sai niente, e ti va bene così.
Forse “sapere”/”saper essere con” è pericoloso?
Forse parlare davvero, passeggiare senza fare shopping sfrenato o restare a casa in 3 a chiacchierare seduti sui tappeti senza accendere la wii o senza mettere un dvx fa paura, pesa, scrosta macigni che sono tutt’altro che scheletri nell’armadio: che sono noi stessi. Un noi stessi che non ci interessa o che per lo meno non ci interessa condividere.
Ed anche in questo scopriamo a malincuore ancora una volta, di essere (e di essere circondati da) schiavi di quella società di massa che ci vuole individualisti e mezzofili. In cui le parole non bastano più, le mura accoglienti sono da denigrare, serve l’immensità dello spazio infinito, del mezzo che ti fa sentire qualcuno o qualcosa e del nuovo per dirsi “questo è vivere”.
…Ma in fondo non è ci prendiamo tutti in giro e che siamo solo dentro alla gabbia di una routine che ci illudiamo non sia routine omologata… e che è più che tale (miseri noi)?
Concludendo, vi prego, va bene la birra fuori o il cinemino, ve bene la pizza, il bar e ballarò; ma invitatemi pure per una pannocchia in balcone – anche di venerdì sera – mentre desiderate prima di tutto non che sia perfetta nel suo saporeodoreconsistenza, ma che sia un contorno imperfetto (umano) a tutto ciò che vorrete raccontarmi.
(Anche e soprattutto questo è un uomo.)
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