La mediocrità in 3 film

Creato il 01 maggio 2011 da Ludacri87
Recentemente ho recuperato tre film che, in un modo o nell'altro, mi hanno fatto riflettere su un connotato-base presente nell'ultima cinematografia. Accanto agli "autori", talvolta in affanno, e ai film "commerciali",  in opposizione dialogica con la cinematografia indie, nel panorama occidentale è aumentata a dismisura la quantità di pellicole "mediocri". Spesso scrivo (e leggo) di un un film, di un libro, di una canzone mediocre. Ora, evitando per scarsa consapevolezza filologica, di definire l'etimologia della parola, nell'uso comune "mediocre" intende sia qualcosa di "medio", di "standard", sia qualcosa di "scarso", di "poca qualità". Questa sottigliezza, per quanto mi riguarda, deve essere recepita solo attraverso la contestualizzazione del testo. Spesso nemmeno questo aspetto è facilmente interpretabile, in relazione alla difficoltà di intendere quale sia la connotazione che il singolo attribuisce alla parola. Analizzando i tre film, di seguito, cerco di chiarire qual è il significato che attribuisco alla parola "mediocre", nel caso utilizzando un sinonimo che possa chiarire in modo più netto il mio pensiero/giudizio a riguardo.



Mediocre = Senza nè arte nè parte
"Run Fatboy Run" è una comedy-sportiva con componente romantica in agguato. Il film, proveniente dalla cinematografia inglese, è diretto dall' "ex-Friend" David Schwimmer e si avvale di un cast di un certo livello con l'arcinoto Simon Pegg protagonista, Thandie Newton e Hank Azaria. Qualche momento sottile, un finale "classico" e lieto, esagerazioni nella caratterizzazione dei protagonisti di contorno, soprattutto in quelli meno legati all'asse romantico della vicenda. "Run Fatboy Run" è la storia di un uomo che tende a riconquistare la dignità perduta di fronte agli occhi della "promessa-sposa" abbandonata sull'altare anni prima, con pancione in bella mostra, attraverso l'evento sportivo della maratona. E' un'opera non eccessiva, ruffiana, caratterizzata dalla leggibilità del cinema classico, ma priva di qualsiasi ambizione riflessiva nel sottotesto. La mediocrità si intende come livello standard, non particolarmente innovativo, ed adeguamento pieno al vecchio stile della comedy trascorsa. Intrattiene, ma non fa altro.



Mediocre = Potenzialità sprecata.
"Agathe Cléry" è una pellicola firmata da Étienne Chatiliez, director esploso da noi con il fenomeno "Tanguy", particolarmente vicino alla nostra dimensione sociale. A dire il vero la sua è una carriera più ampia, che parte dagli inizi degli anni '90 con pellicole apprezzate. Nel caso di Chatiliez, l'opera in questione, piuttosto sfortunata anche a livello di apprezzamento da parte del pubblico, è "Agathe Cléry", un ibrido cinematografico che unisce contenuto più o meno serio ed eversivo, forma policromatica e reiterato passaggio tra argomenti musicali e sequenze recitate. Insomma, da un punto di vista stilistico, c'è un minimo di originalità, considerando il dissidio tra forma e contenuto, ascrivibile al tipico tocco del regista. In tutto questo, il giudizio di mediocrità sta nell'incapacità dell'opera di risultare una sintesi organica tra le sue parti, non tanto per la complessità formale, quanto per il repentino cambio di ottica finale, che svilisce la carica umoristica e corrosiva di un'opera che tratta di razzismo, partendo da un carattere surreale. Il problema riguarda, quindi, la banalizzazione contenutistica piuttosto che altre componenti, invece apprezzabili, compreso la recitazione di Valérie Lemercier, che assomiglia un po' alla nostra Angela Finocchiaro. La mediocrità sta nello scarto tra aspettativa e risultato ed equivale ad una potenzialità inespressa difficile da digerire.



Mediocre = Scarso
L'ultimo caso è nazionale. La pellicola in questione è "La bellezza del somaro" di Sergio Castellitto, un'atipica commedia verdoniana e corale in mano ad un cineasta discontinuo e mai sbocciato del tutto dietro la macchina da presa. Il giudizio di mediocrità in questo caso è legato realmente alla limitata qualità artistica di un'opera che presenta pochissimi pregi (il gusto alla letteriarietà nella descrizione dei personaggi) e una summa di difetti che ne impediscono la stessa definizione di "prodotto standard". In primo luogo il carattere da divertissment fine a sè stesso e un po' intellettuale (o meglio dell'intellettuale che critica l'intellettuale), poi la scarsa presa di consapevolezza di una cifra stilistica compatta e soprattutto la banalizzazione che viene fatta della componente psicologica. L'opera diventa un abbozzo di caratteri "fuori dal comune" (originali ma non troppo) che richiede un'attenzione superiore di molto al reale valore della pellicola e appare supponente nella sua impostazione "alternativa". La mediocrità è intesa come incapacità di avere un significato artistico pieno.

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