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Il velo di Maya e la meditazione: realtà e illusione Realtà o illusione? Realtà è illusione? Sono questi i dubbi che l’uomo si è posto, e si continua a porre, ogniqualvolta si ritrova a riflettere sui piani dell’esperienza, del sogno, del pensiero e, in generale, della forma della vita. Il mondo in cui viviamo, lo conosciamo solo perché lo vediamo con i nostri sensi fisici. Ma possiamo dire di conoscerlo veramente? I sensi ci mostrano sempre e soltanto una parte delle cose: una forma, un odore, un sapore… Mai la totalità. I sensi, in effetti, sono limitati e complementari tra di loro. In definitiva, noi percepiamo solo una piccola parte della realtà che ci circonda. Il mondo così come percepito sarebbe dunque una parvenza di ciò che è realmente. Niente è quello che sembra. Il mondo materiale così come lo conosciamo è quindi simile a un’illusione. Illusione o Maya non significa, come molti suppongono, irreale. Il velo di Maya è l'illusione della dualità, la separazione della realtà in bene e male, spirituale e secolare, sacro e profano. Maya è il mondo delle apparenze. È l’ombra della realtà scambiata per la realtà stessa. Utile per la vita pratica, ma pur sempre un’ombra della verità. Meditazione e velo di Maya possono in realtà interagire. Ma chi o cosa è Maya? La mente “mente” L’antica saggezza dei Veda indiani, datati intorno ai 5000 anni a.C., tramanda che la dea Maya, dopo aver creato la Terra, la ricoprì con un velo con la funzione di impedire agli uomini la conoscenza della vera natura della realtà. “Maya è il velo dell’illusione, che ottenebra le pupille dei mortali e fa loro vedere un mondo di cui non si può dire né che esista né che non esista; il mondo, infatti, è simile al sogno, allo scintillio della luce solare sulla sabbia che il viaggiatore scambia da lontano per acqua, oppure a una corda buttata per terra ch’egli prende per un serpente”. Quello della dea fu un atto di pietà, perché altrimenti non sarebbe stata possibile la vita. Il velo non si limita a nascondere la realtà, ma le rende più vivibile e coerente alle esigenze e alle necessità del soggetto, aggiungendovi contenuti che costituiscono una “soggettivazione” dell'oggetto. La semplice parola māyā racchiude in sé diversi concetti metafisici e gnoseologici della religione e della cultura induista. Notoriamente, il termine è associato all’espressione coniata da Arthur Schopenhauer (velo di Maya) ne il suo Il mondo come volontà e rappresentazione. Con le parole del filosofo tedesco: “E’ Maya, il velo ingannatore, che avvolge il volto dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che agli prende per un serpente”. Si tratta di un illusorio velo metafisico il quale, disunendo il soggetto dalla conoscenza/percezione della realtà (alterandola), impedisce a questo di ottenere la liberazione spirituale (moksha), relegandolo nel continuo ciclo delle morti e delle rinascite (samsara). Troviamo un riferimento anche in Platone, nella sua metafora della caverna, in cui l’uomo nasce con un velo sugli occhi da cui si potrà liberare solo mediante la conoscenza. E' interessante notare come in diverse culture di tutto il mondo (dall'antica Grecia alle tradizioni animiste, dalle estasi dei mistici cristiani alle correnti buddiste e induiste, fino all'alchimia cinquecentesca) si ritrovino sempre gli stessi concetti di “liberazione dal falso”. La meditazione disvela Se ognuno di noi percepisce qualcosa attraverso i suoi occhi, le sue orecchie, il naso, la lingua o il tatto, sostiene che quella cosa esiste. Al contrario, se non percepisce tutto ciò attraverso i sensi, dice che non esiste. Tra gli oggetti dei cinque sensi - forme, suoni, odori, gusti e oggetti tangibili, si dà maggior credibilità a ciò che si percepisce con gli occhi e le orecchie. Ma fino a che punto i nostri sensi sono affidabili? Comunicano davvero e pienamente le qualità della realtà? Secondo il Buddhismo Vajrayana, le cose possono essere riconosciute senza esser viste o udite. Praticando la meditazione vipassana, ad esempio, un soggetto può acquisire l'intuizione che gli permette di vedere cose mai immaginate prima. Meditazione e velo di Maya in che rapporto sono dunque? La meditazione conduce la nostra consapevolezza oltre i sensi e i pensieri, discostando il velo di Maya, permettendoci di scoprire la vera libertà. Per questo, è necessario che l'uomo percorra il sentiero nella sua stessa mente, attraverso la meditazione, dirigendosi dal concreto verso l’astratto, oltrepassando il velo di maya della personalità. Infatti, la meditazione consente di lasciar andare le nostre idee limitate sulla realtà e di sperimentare ciò che va oltre i cinque sensi. Meditare consente di riconoscere appieno l'unità essenziale tra il mondo "interno" e quello "esterno", mettendo da parte il velo di Maya e l’illusione della percezione. Togliere il velo permette di vedere meglio. E vedere meglio è conoscere. Fonte: www.cure-naturali.it
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