Il nome deriva dalla forma, larga in cima dove si attacca il peduncolo e più stretta alla base.
La mela a muso di bove è chiamata curiosamente così perché, se guardata orizzontalmente, ricorda la faccia degli animali che un tempo erano presenti in tutte le campagne, deputati a svolgere l'aratura e a tirare i carri.
Il frutto appartiene alla miriade di varietà storiche che ogni tanto vengono rinvenute e coltivate da appassionati ed è particolarmente gustoso e fragante. Gli esemplari della foto sono stati raccolti da un albero che cresce a Vallo di Nera, nella Valnerina umbra, a 500 metri di altitudine.
La buccia si presenta liscia e a due colori striati, il giallo e il rosso, mentre la polpa è di colore bianchissimo. Il sapore è leggermente acidulo, fresco e molto godibile. Un frutto da consumare piacevolmente a morsi, dalla scorza fino all'esile torsolo che contiene i semi.
La varietà è davvero molto antica, tanto che se fa ne fa menzione da secoli. Gli alberi sono rustici, resistenti agli sbalzi climatici e agli attacchi degli insetti.
Una volta raccolte, le mele a muso di bove si possono conservare in ambiente asciutto dall'autunno fino alla primavera, avendo l'accortezza di stenderle su carta o su paglia oppure si possono tagliare a fettine da far asciugare in forno (un tempo si infilavano nei forni a legna adagiate sulle seccaiole): in questo caso prendono il nome di spartecchie. Le spartecchie, durante l'inverno venivano usate per preparare uno sciroppo lenitivo della tosse.
A dicembre le mele a muso di bove entrano nella ricetta della tòrta di Natale, lo strudel a pasta sottile farcito di mele cotte, noci, cioccolato, cannella, noce moscata, pinoli, bagnato con alchermes e avvolto a spirale.