Ecco un estratto dell’intervista agli autori de La memoria dell’acqua, Mathieu Reynès e Valérie Vernay, pubblicata su Actua BD:
La prima cosa che affascina del vostro fumetto è il titolo: La memoria dell’acqua. L’origine del termine è legata a una polemica scientifica della fine degli anni 80, secondo cui l’acqua avrebbe delle proprietà camaleontiche che le consentirebbero di “ricordare” le sostanze con cui è venuta a contatto. Conoscete questa teoria?
MR: Ho trovato un riferimento alla “memoria dell’acqua” in un vecchio libro di Frédéric Beigbeider. Suonava bene e così ho cercato di scoprire da dove venisse l’espressione. Sono rimasto affascinato dall’idea che l’acqua possa custodire la traccia di quello che prima si trovava immerso. Ho messo a fuoco il nucleo della storia che stavo scrivendo.
Molti lettori sono rimasti colpiti dalla dimensione quasi psicanalitica della vostra storia (riti di passaggio, reminiscenze di storie familiari…) Questa dimensione era cosciente nel momento della scrittura?
MR: No, davvero. Non userei il termine psicanalitico, è l’interesse per i personaggi che porta ad approfondire i loro comportamenti. Reagiscono in funzione delle loro azioni passate. È più in questo spirito che speravo di costruire il mio scenario. Quando si cerca di parlare della gente, delle loro relazioni e dei loro vissuti, è normale percorrere questa strada.
Il rapporto tra Marion e sua madre Caroline appare naturale. Quali difficoltà incontra un uomo quando deve scrivere di personaggi femminili?
MR: Stranamente, non ho avuto problemi a mettermi nei panni di Marion o di Caroline. Tento di pensare in modo un po’ meno elementare di quanto farebbe un uomo.
VV : Ci sono ormai molte donne sole con un figlio tra le persone che conosciamo, come Caroline. Ci si può ispirare a loro.
Valérie, mentre disegnavi ti sei sentita vicina alle due protagoniste?
VV: Sicuramente molto vicina a Marion, e infatti le ho trasferito molto di me. E poi la mia paura dell’acqua mi ha molto aiutato nella scena della grotta. Ma per il resto non mi somiglia.
MR: Valérie si è forse un po’ riconosciuta nelle reazioni di Caroline, che riscopre la vita in cima a una scogliera. Lei è originaria della Francia orientale, e adesso noi viviamo sulla costa Atlantica. La vita sull’oceano è molto diversa, bisogna abituarsi.
VV: Sì, è vero. E nei tratti, Marion ha preso molto da una nostra piccola vicina.
Quando si ha la fobia dell’acqua, passare un anno e mezzo a disegnare un fumetto in cui l’acqua è protagonista non è una specie di supplizio?
VV: No, no! Non ho dovuto immergermi per disegnare, quindi va bene!
Dopo Agathe Saugrenu, in stile cartoon, è stato difficile disegnare questi scenari marittimi, a disegnare una costa che evoca la Bretagna?
VV: Diciamo che la difficoltà maggiore è stato convincere Mathieu, anche lui disegnatore, ad affidarmi questa storia. Per me era una sfida. Naturalmente, il mio stile è più infantile, ho voluto spostarlo verso una sorta di realismo. Per riconoscersi nella storia, occorre che il disegno sia convincente. Bisognava che Mathieu potesse progettare la sua storia nel mio disegno. Il passaggio da Agathe Saugrenu a La memoria dell’acqua non è stato semplice. Vivendo sul mare, la scelta dell’ambientazione è stata un aiuto.
Nessun problema di documentazione, tutto a portata di matita?
VV: Non proprio, anche se il mare ce l’abbiamo tutto il tempo sotto gli occhi. I colori, per esempio, sono quelli della costa delle Lande. Per quel che riguarda la Bretagna, abbiamo fatto dei sopralluoghi fotografici per rendere credibile l’atmosfera della storia.
C’è un lavoro interessante su alcuni elementi tipici delle storie di mare: la nebbia e la pioviggine.
VV: In effetti è un aspetto che mi ha molto divertito. Sono entrata nel mondo del fumetto attraverso il colore: sono stata colorista prima che disegnatrice. Dare il colore è la mia ricompensa. Ho la stessa sensazione quando disegno o quando coloro.
MR: Il colore dà vita al disegno di Valérie.
VV: Conferisce anche movimento e ritmo.
Ho l’impressione che ci siano due scelte cromatiche nella storia: toni solari intorno alla casa, e toni azzurri o grigi a mano a mano che ci si avvicina al faro. Questo mi porta a parlare dei disegni di copertina, dove il colore, anche là, svolge un ruolo fondamentale. Si tratta di colori diretti?
VV: No, è lo stesso procedimento usato nelle tavole interne: Photoshop e tavoletta grafica. Sono capace di usare l’acquerello e l’acrilico, ma vorrei dare l’impressione del colore diretto utilizzando il software. Il mio obiettivo è ottenere una resa pittorica: in realtà leggo pochi fumetti, sono più che altro influenzata dai pittori, come Edward Hopper che amo molto. La scelta di rappresentare una casa in cima a una collina a picco sul mare si comprende ancora meglio visto il mio amore per Hopper.
Nelle vostre tavole si nota l’assenza di computer, cellulare e tablet…
MR: Abbiamo preferito cancellare ogni riferimento temporale. Una ragazzina dei nostri giorni preferirebbe un social network all’esplorazione delle scogliere circostanti.
Avete dunque fatto una scelta “unplugged”?
MR: Sì, è un po’ così. Volevamo ritrovare l’ambientazione delle serie e dei romanzi fantastici che amiamo. Avevo in testa un film intitolato Le Fantôme du Phare. Mi ha segnato fin da bambino.
Un’ultima domanda: qual è il fumetto che vi ha fatto venir voglia di fare questo mestiere?
MR : Senza dubbio La Vallée des Bannis de Tome e Janry.
VV : Direi Gaston Lagaffe, che rileggevo in continuazione.
- Sfoglia l’anteprima
- Acquista con il 15% di sconto