Magazine Cultura
Strano libro questo.
Di quei libri che appaiono antichi, pur essendo stati scritti quasi l'altro ieri.
Che ti conquistano lentamente fino a che ti avvinghi intorno alla misteriosa storia del loro personaggio, rimanendo inevitabilmente deluso quando, alla fine, tutti i segreti finiscono svelati.
Sono d'accordo con chi (vedi il commento di Carlo nelle recensioni su IBS) dice che è scorretto paragonare alcuni tratti di questo romanzo, in particolare il coro iniziale del paese che, attraverso la molteplicità dei punti di vista dei suoi abitanti, nonché protagonisti della storia, comincia a sollevare delle domande sulla figura della mennulara, al racconto corale di certi romanzi verghiani. L'ambientazione cronologica è differente, l'epoca letteraria pure, fors'anche l'epicità della storia.
Però devo confessare che a me che letterata non sono e le cui reminiscenze verghiane risalgono ai tempi del liceo classico la prima parte del romanzo mi ha davvero fatto pensare a I Malavoglia o a Rosso Malpelo, quanto meno nella sensazione che la lettura trasmette, quella di una comunità come racchiusa su se stessa, quasi autarchica nelle sue dinamiche sociali.
Ho vissuto del resto la stessa difficoltà nell'inquadrare i personaggi e ricordarli nel prosieguo della lettura, cosa che mi ha costretta più volte a ritornare indietro di qualche pagina per ricostruire il filo del discorso...
Dopo questa sorprendente, ma faticosa parte iniziale, l'acme del romanzo è certamente nella parte centrale, quando la personalità della Mennulara si rivela nel modo in cui questa ha organizzato - con la precisione di un orologio - gli eventi dopo la sua morta, in particolare il meccanismo di devoluzione della sua eredità alla famiglia Alfallipe.
Maria Rosalia Inzerillo, chiamata la Mennulara da quando - da bambina - andava in campagna a raccogliere le mandorle, non è affatto stupida e ignorante come spetterebbe essere alle serve. È piuttosto una di quelle donne che le origini sociali hanno costretto alla subalternità e che ha saputo - seppure sotterraneamente - riscattarsi.
Non c'è confronto tra la complessità, la sagacia, la discrezione e l'astuzia della Mennulara e la pochezza degli Alfallipe (la famiglia che ha servito per gran parte della vita), i cui figli in particolare sembrano veri e propri personaggi da commedia dell'arte, arroganti e stupidi, capaci di danneggiare anche i propri interessi per faciloneria e malignità.
La Mennulara non è un personaggio necessariamente simpatico, ma domina la scena anche da morta, padrona dei segreti e dei meccanismi di una comunità che conosce alla perfezione e in cui si è sempre mossa con dignità e sicurezza. In fondo, è proprio grazie a lei che vizi e virtù di questa comunità vengono messi a nudo senza forzature.
Personalmente (ma vedo che qualcun altro è d'accordo con me), avrei preferito non leggere la lunga lettera di Orazio Alfallipe al suo amico Pietro Fatta, né avrei voluto conoscere nei dettagli la storia pregressa di Mennù, di come e perché è finita a servizio dagli Alfallipe e gode di un credito presso il capomafia Vincenzo Ancona. Nel mistero non svelato si sarebbe offerto al lettore un ulteriore spazio di pathos e partecipazione.
Bello, infine, lo stile, che nonostante l'uso quasi totale dell'italiano (il siciliano è utilizzato solo lì dove è strettamente necessario), riesce a farci sentire appieno l'ambientazione siciliana nella sua dinamica umana e sociale, prima e più che in quella naturalistica e architettonica.
Voto: 3,5/5
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