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La prima volta che ho letto qualcosa di suo è stato durante una delle lezioni di Officina Letteraria (che tra parentesi, ospiterà proprio Paolo Nori in un workshop il prossimo autunno). E il qualcosa che ho letto è stato proprio l'incipit di La meravigliosa utilità del filo a piombo.
Poche pagine, che terminano con questa frase.
Ecco. Io ho l'impressione che, per scrivere, sia abbastanza importante trovar delle braghe.
Vero. Sentirsi nelle proprie braghe è fondamentale per fare bene tutto ciò che si fa. Soprattutto scrivere. Per esempio, questo libro è un insieme di sei discorsi che Paolo Nori ha tenuto in altrettanti eventi nel corso degli ultimi anni. Discorsi su argomenti dei quali, a detta sua, non aveva alcuna competenza. La DDR, il ballo liscio, la fantascienza.
A detta sua, si diceva. Il punto è che, nel suo stile così unico (dimenticavo: nel frattempo, da Officina a oggi, ho letto un altro libro di Paolo Nori: Grandi ustionati, di recente ripubblicato da Marcos y Marcos), in realtà ti rendi conto che Paolo Nori ne sa, di cose. Ma proprio tante. Ha la straordinaria capacità di scrivere pagine intere su poesia russa e formalismo russo senza annoiare, ma anzi facendo venire quella curiosità di scoprire di più che anni di scuola non hanno mai minimamente sfiorato.
Sempre a Officina Letteraria ci hanno parlato molto di Slovskij, che Paolo Nori cita spesso in La meravigliosa utilità del filo a piombo soprattutto per la teoria dello straniamento, punto di partenza fondamentale per chiunque (come la sottoscritta) ha fatto della scrittura il proprio pane.
Provo a spiegarla in due righe: la prima regola per chi vuole scrivere è straniarsi dalle persone, dalle cose, da tutto ciò che ha intorno. Straniarsi vuol dire abbandonare tutto ciò che si dà per scontato e cercare di vedere le cose, anche quelle che abbiamo davanti tutti i giorni, come se le stessimo guardando per la prima volta. La prima regola di un racconto o romanzo ben riuscito è far vedere al lettore ogni dettaglio, senza che nulla sia scontato.
Per dirla con le parole di Paolo Nori (e qui chiudo, il resto vorrei lo leggeste da soli): "E quando ho cominciato a scrivere io, a me è successa proprio quella cosa lì, che io guardavo a delle cose che conoscevo benissimo, come per esempio la mia casa, il condominio dove abitavo, i nomi delle strade che c'erano intorno, come se non li avessi mai visti, mi dimenticavo il mio lavoro, alzavo la testa e guardavo la facciata del mio condominio come se non l'avessi mai vista, e la facciata del mio condominio usciva dal suo imballaggio, e questa cosa, delle volte, funzionava anche con le persone con le quali abitavo, anche con il mio gatto e la mia morosa che d'un tratto, certe volte, uscivano dal loro imballaggio di gatto domestico e morosa domestica e risuscitavano come esseri viventi colpiti dalla luce di un dato momento della giornata intanto che respiravano, col sangue che pulsava, lì, in salotto, o in bagno, o sulla soglia della cucina".
ps. ci tengo a ribadire quanto ho scritto in un tweet partecipando all'hashtag #100libridaleggereprimadimorire creato dalle amiche di Critica Letteraria: nessuno scrittore può dirsi veramente tale se non ha letto almeno un testo di Paolo Nori.
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