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La meute (2010)

Creato il 21 marzo 2011 da Sonjli
La meute (2010) Charlotte si ferma a raccogliere l'autostoppista Max lungo la strada e decidono di bere un caffè assieme nel vicino ristorante “La spack” dallo stile inconfondibilmente western. All'interno del locale avviene una breve rissa con un gruppo di motociclisti, fermata dalla strana oste. Max si dirige al bagno per curarsi le lievi ferite ma una volta all'interno non ne uscirà più. Charlotte preccupata dall'assenza del nuovo amico tenterà di capire dove sia finito. La ricerca porterà a galla orrori che non sarebbero mai dovuti affiorare.
Converrete con me che ultimamente la produzione horror non è così pregna di opere interessanti ma finalmente qualcosa si è mosso. Peccato che si muova sempre dalla stessa parte. Non importa, determinante è che La meute è davvero un gran bel film.
Seppur con tutti i difetti che si possono trovare, il regista Franck Richard ci propone una pellicola diversa dalla solita minestra e riesce a mescolare sangue, torture e mostri, senza distruggere il gusto genuino di un buon intrattenimento. E poi, da non sottovalutare, qui ci sono alcuni dei nomi più importanti della nuova scena del perturbante transalpino: Vérane Frédiani e Franck Ribière (produttori di “A l'interieur”) e Philippe Nahon (“Calvaire”, “Alta tensione”).
Si parte con la tipica ragazzina punk (con un tatuaggio fighissimo dei Black Flag sul braccio) che viaggia senza nessuna meta in mezzo ai campi nebbiosi della Francia di “Calvaire”. L'indecente bellezza dell'auto guidata dalla protagonista e il curatissimo look fanno presagire che il regista abbia spinto notevolmente sull'aspetto scenografico che in effetti è di tutto rispetto. La fotografia di Laurent Barès (“Frontiers”) è ben curata ed è spiazzante l'immissione di un saloon western, con tanto di sceriffo in bicicletta, in un contesto soffocante e fangoso com'è la campagna francese. Molto d'effetto.
Una volta che Charlotte entra nel ristorante “La Spack” succede già qualcosa che non ti aspetteresti mai, e due risate grasse scappano volentieri. La scena del bambino incellophanato che si schianta sul muro è da antologia ed è così divertente proprio perché non ha nessuna attinenza con tutto quello che sta succedendo. Una sorta di siparietto che vuole sottolineare la difformità d'intenti di quest'opera rispetto alle altre, più famose. La barzelletta dei maniaci raccontata dalla ragazza, poi, è davvero un momento di inaspettato umorismo noir, ma felicemente riuscito tanto che proprio questo sarcasmo rimane efficacemente aggrappato alla trama fino alla fine. Il momento della sparizione di Max è il punto di svolta della prima parte. La ragazza denuncerà la sua scomparsa al vecchio sceriffo in pensione, un personaggio meravigliosamente sciocco, che si innalza a protettore di donzelle indifese dagli sporchi maniaci, ma indossa una maglietta XXXL con su scritto a caratteri cubitali “I fuck on the first date”. Poi il film inizia a decollare sul serio e ci si può aspettare di tutto dopo un inizio tanto particolare, ma non quello che è passato per la testa di Richard.
Vedremo una breve serie di torture da manuale tra cui spicca “la sedia”. Ma è proprio qui il guizzo di geniale follia. Le torture non sono fini a se stesse ma hanno uno scopo ben preciso che sarà il filo conduttore della seconda parte. Da qui la pellicola acquista un vigore inaspettato e vengono sfasciati uno dopo l'altro una serie di stabilizzanti cliché. A partire dall'assedio nel capanno della cava fino al gustosissimo sogno di liberazione di Charlotte, ci troveremo sballottati in un turbine di stravaganti carrellate di invenzioni e di personaggi tanto assurdi quanto adorabili (i motociclisti e la madre fra tutti) che non sarà facile dimenticare.
La sceneggiatura non è certo il punto forte e vacilla pericolosamente in alcuni tratti, ma in questo tipo di film uno script preciso renderebbe la visione troppo seriosa. La pecca più grossa si potrebbe notare nel ritmo che non è molto sostenuto ma sorvoliamo, vista la quantità di carne che viene messa sul fuoco. Il cast è stato ben selezionato e tranne la voluta stereotipizzazione dei centauri, tutti svolgono egregiamente il loro lavoro. Spicca fra tutti una immortale Yolande Moreau, irriconoscibile se avete visto “il favoloso mondo di Amelie”.
Fortunatamente non c'è nessuno spiegone e il finale è bello come pochi se ne sono visti ultimamente.
I francesi sanno sempre come girare la frittata e lo fanno con uno stile inconfondibile che è diventato marchio di fabbrica, e non disdegnano di tuffarsi con esso in ogni sottogenere horror conosciuto. La meute è un'opera che si può posizionare in quel filone “balordo” che io adoro alla follia, in cui troviamo gioielli come “Feast” e “Botched”, e sono sicuro che non deluderà lo spettatore a digiuno di novità.

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