Aleppo, la Grigia. Quattro anni fa, di questi giorni, mi trovavo là. L’imponente cittadella medioevale, che racchiude memorie comprese tra l’epoca seleucide e quella ottomana. Il Museo Archeologico, ricco di reperti provenienti dalla storia più antica del Vicino Oriente. Quindi la visita alla Grande Moschea, infine al fiorente e vivace suq. Pernottai in una piccola stanza al sesto piano di un hôtel internazionale situato nella città nuova, a due passi dal vasto parco pubblico.
Aleppo fu anche la destinazione di zia Dolores, infermiera missionaria, che lavorò in quell’ospedale tra il 1959 e il 1967. Mi raccontava dei beduini, i quali dormivano in terra e sui letti ci camminavano; e che, poche ore dopo aver subito pesanti interventi chirurgici, pacifici mangiavano fagioli e pistacchi.

Aleppo era una città moderna, dall’atmosfera indaffarata che hanno i centri dediti prevalentemente al commercio. Boutique, alberghi, cinema e ristoranti inducevano i turisti – turchi, ex sovietici, molti italiani – a prolungare il soggiorno. Imprenditori locali e stranieri avevano investito parte dei loro capitali per restaurare alcuni dei palazzi più antichi e riportarli a nuovo splendore. L’Unesco l’aveva dichiarata patrimonio dell’umanità.
Tutto finito. Eppure, nonostante o forse a ragione di tutta la ferocia della guerra civile, non posso non ripensare alla gentilezza e all’ospitalità che incontrai. Ad Aleppo come a Damasco, ad Hāmā, a Palmyra.
(Fotografie scattate il 7 agosto 2008. Ne trovate altre qui e qui. )






