La mia collezione di Civette
20 gennaio 2015 di Redazione
di Cosimo Giannuzzi
Molti anni fa quando mi domandavano perché colleziono civette e gufi davo una risposta imbarazzata in quanto capivo che in realtà mi stavano chiedendo notizie sulla mia identità. Percepivo quella richiesta come l’intento di svelare un fatto intimo, segreto. La mia sensazione non era errata e ne ho avuta conferma quando mi sono imbattuto nel filosofo e sociologo francese Jean Baudrillard secondo il quale la collezione è espressione della personalità stessa del collezionista.Da quel che si colleziona, è possibile comprendere gli interessi, l’immaginazione, la sensibilità, i desideri di un collezionista. Nel corso del tempo ho scoperto che attraverso una collezione è possibile capire i molteplici aspetti di un oggetto e i tanti significati racchiusi in esso. Baudrillard, nel rapporto esistente fra l’uomo e gli oggetti (Il sistema degli oggetti) ha distinto la “passione per la funzionalità” dalla “passione per la proprietà”. Quest’ultimo aspetto riguarda gli oggetti di una collezione che sono privi di funzionalità (fa l’esempio della macchina) ma sono qualificati da chi li colleziona da valori sociali di carattere sociologico, storico, antropologico, scientifico. Il piacere di raccogliere oggetti con le medesime caratteristiche riguarda chi ha riconosciuto nell’oggetto un fascino particolare dovuto alla sua rarità, alla sua storia, alla sua bellezza, alla sua epoca. La collezione di civette e gufi è quella che ha rappresentato per me un viatico per avviare altre collezioni. Non parlerò qui dei giochi dell’oca, delle cartoline regionalistiche, della ceramica inglese Ironstone, delle bottiglie di vetro figurate. Alcune di queste collezioni le ho volute condividere pubblicamente attraverso la loro pubblicazione accompagnata dalle mie riflessioni.
Qui intendo riferirmi alla mia prima collezione, quella di civette e gufi. E’ difficile per me, a distanza di oltre trent’anni dall’inizio di questa collezione, spiegare la molla iniziale che mi ha spinto verso questa direzione. Non so perciò se essa nasce per caso o per curiosità o se ci sia dietro un interesse psicologico. Posso affermare con certezza che di fronte ad un oggetto a forma di gufo o di civetta ero e sono emozionato e specialmente se l’oggetto è raro, artistico, prezioso o bizzarro. So che dopo una prima fase di raccolta in cui prevaleva l’aspetto dell’accumulazione, è subentrata poi la fase della conoscenza degli aspetti culturali legati all’immagine ed è solo da allora che è iniziata la collezione vera e propria. La mia non si limita all’oggettistica (nel senso di statuette) ma spazia in ogni direzione: ex-libris, cartoline antiche e moderne, figurine, francobolli, giochi di percorso, monete, segnalibri, stampe, etichette, manifesti, testate giornalistiche, schede telefoniche ecc. L’esistenza di tante tipologie di materiali mi fa dedurre che questa collezione percorre e attraversa tutte le possibili e più consuete collezioni: è la collezione delle collezioni. Questo aspetto sta a dimostrare che essa non può mai dirsi conclusa. Qual è allora la sua valenza culturale che la rende tanto variabile nelle forme, nei colori, nella grandezza, nei materiali, nelle posture? Innanzitutto il gufo e la civetta sono animali simbolici con significati spesso contrapposti in molte civiltà di ogni parte del mondo.
Le loro prime rappresentazioni sono nella preistoria e accompagnano il culto della Grande Madre. Nella tradizione ebraica erano legati alla dea Lilith, compagna di Adamo prima della sua rivale Eva. Nella tradizione greca e romana simboleggiavano la dea Notte, nell’antico Egitto il gufo era una figura presente nella scrittura geroglifica con valore alfabetico, M, ed era associato alla morte. E’ però nell’antica Grecia che questi rapaci caratterizzano quella stessa cultura perché attributi di Atena, protettrice della città, dea della sapienza, della saggezza, delle arti tessili e della belligeranza (per difesa o per una causa nobile). Sin dal periodo arcaico l’immagine della civetta figurava sulle monete tanto che esse erano proprio denominate “civette”. In quanto animali notturni erano associati alla chiaroveggenza. Lo studioso di simboli francese Renè Guenon riteneva la civetta simbolo della conoscenza razionale (perché uccello notturno) che è la percezione della luce riflessa (lunare) in opposizione alla conoscenza intuitiva, percezione della luce diretta (solare), il cui simbolo è rappresentato dall’aquila. La caratteristica di vedere al buio individuando di notte la preda, ha portato ad attribuire loro la capacità di trovare la verità, di intuire la risoluzione di un problema, di ascoltare il pensiero degli altri.
Contrariamente alla Grecia, in particolare ad Atene dove civetta e gufo erano ritenuti uccelli sacri, in altri paesi sono considerati uccelli di malaugurio. Secondo numerose credenze popolari il loro richiamo notturno annuncia la morte di qualcuno. Questa superstizione vive anche nel Salento ma non a Galatina, città di origine greca che l’ha assunta a proprio simbolo. L’immagine della civetta, difatti, è presente nello stemma rendendo questa città immune da quel fenomeno che riguardava tutto il Salento: il tarantismo. A Galatina non sono mai stati notati o catalogati casi di possessione da parte della tarantola, ma è l’unica città del Salento che accoglie i tarantati e le tarantate che chiedono la grazia a S. Paolo. Esiste senz’altro una relazione fra le immagini del ragno e della civetta che, purtroppo, deve essere ancora considerata e studiata.