Ho già consegnato all'editore il mio nuovo libro " I giorni del riso e della pioggia" (Dal delta del Mekong alle sorgenti del Tibet) . Uscirà nelle librerie il prossimo Febbraio. Mi sono messo già al lavoro per scriverne un'altro. Un nuovo libro di viaggio per raccontare la straordinaria storia del prete salesiano Alberto Maria De Agostini, esploratore e missionario nei primi anni del secolo scorso, che gli indios della Terra del Fuoco chiamavano semplicemente Don Patagonia. Partirò di nuovo per un lungo viaggio il 15 Novembre. Nel frattempo ho già iniziato a buttare giù alcuni appunti.
La mia Patagonia
Ecco le strade, che come nastri appoggiati sulle onde lunghe di un mare in bonaccia, vanno verso l’infinito.
Alcuni sono d’asfalto e tutti gli altri, fatti di terra, hanno una sfumatura di colore ocra. Ovunque pennellate di tinte improbabili perché cambiate incessantemente dal vento. La mancanza di un segno, un segno qualsiasi all’orizzonte mi inquieta ancora una volta.
Sono ormai molti anni che vengo in Patagonia. Ogni volta ho la sensazione che il luogo non cambia, forse l’unico posto al mondo che non cambia mai, anche se ormai sembra sia diventata una località ambita dal turismo mondiale della tarda modernità. D’altronde non può cambiare il nulla, quello più tormentato ed estremo la dove le storie, tutte le storie, vanno a finire.
Perché mi attira cosi tanto la Patagonia?
Mi sono posto questa domanda tante volte, magari scrivendo qualche pagina sul mio diario di viaggio o leggendo su qualche pagina di un viaggio della fantasia. Anche Darwin deve essersi fatta una domanda simile:
..Richiamando le immagini del passato, scopro che le pianure della Patagonia si ripresentano con insistenza ai miei occhi, eppure quelle pianure sono considerate da tutti squallide e inutili. Le si può descrivere soltanto con caratteri negativi; senza case, senz’acqua, senz’alberi, senza montagne, producono soltanto alcune piante nane. Perché allora, e ciò non accade soltanto a me, questi aridi deserti mi si sono impressi così fortemente nella memoria?
Da parte mia ho sempre trovato delle risposte nel senso della promessa. La promessa di un viaggio verso il nulla e alla ricerca di un paradosso. La promessa,certo, di una dimensione non conosciuta della spazio, ma anche qualcosa di incorporeo e immateriale, forse l’anima.
Perché la Patagonia è luogo del silenzio, delle solitudini estatiche e della libertà. Sembra che, quando si sta morendo, in pochi attimi ci scorra davanti tutta la vita trascorsa. La Patagonia funziona un po’ allo stesso modo: ti consegna a una moviola della mente, allo scorrere lento della tua esistenza, e ti costringe a tentarne un bilancio. Mi succede solo qui, e in Antartide. Il bus, passato il Rio Colorado , entra in un orizzonte che mi è ormai familiare.http://picasaweb.google.com/titobarbini26